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poltrone da regalare

Non sono consigli per gli acquisti e non me ne viene niente se decidi di regalare o regalarti una delle mie poltrone preferite per Natale, per il compleanno, la laurea, per l’anniversario di quello che vuoi… o semplicemente perchè ti va.


Multichair, disegnata da Joe Colombo nel 1970 – riedita da B-Line è parte della collezione permanente del MoMA e del Metropolitan Museum of Art di New York. Modulare e trasformabile è uno di quei giochini che mi fanno impazzire.

Up, disegnata da Gaetano pesce per B&B Italia nel 1969 – Vince il XXVII Compasso d’Oro, premio alla Carriera del Prodotto 2022. Linee curve infinite, la preferisco nelle versioni originali, rossa e nera… ma si sa, sono monotono.

DeTecMa, ideata con l’ausilio di un calcolatore elettronico dal matematico Tullio Regge all’università di Princeton nel 1967. Coloratissima e irriverente, amo Gufram.

Tube-Chair, non solo una poltrona o forse non proprio una poltrona. Progettata da Joe Colombo nel 1969, presente nelle collezioni permanenti della Triennale di Milano, del MoMA e del Metropolitan Museum of Art di New York. Riedita da Cappellini, modulare, trasformabile è una scultura perfetta che vien voglia di moltiplicare all’infinito.

Wink, disegnata da Toshiyuki Kita per Cassina, si trasforma e si muove come fosse un essere vivente. “Su Wink ci si siede a terra e secondo la tradizione orientale, quando un corpo è seduto a terra lo spirito si eleva”, afferma il designer Toshiyuki Kita. Una magnifica scultura snodabile, colorata ed ergonomica.

Più che poltrone, pezzi da museo su cui però è possibile stravaccarsi a casa propria. Regali da tramandare, con cui farsi ricordare. Bei giocattoli di quando in Italia è nata l’idea di “design”, una parola che oggi va bene per qualsiasi cazzata.

l’anello che serve a tutto e a niente

Se riesci a far innamorare di una cosa, di un’idea, di un marchio è come se li avessi già venduti.
La settimana scorsa giro per Decathlon con figlio 2. Non abbiamo un motivo preciso per essere lì. Si passava e ci siamo fermati. Io guardo abbigliamento da trekking e da trail, lui roba da snow con aria un po’ schifata. Passiamo in rassegna scemenze low cost tipo calzini, e accessori ginnici di cui per lo più non capisco la funzione. Inevitabilmente sono attratto da certe forme perfette che a prima vista non servono a niente. Boom! Lo sapevo che andavo a sbattere contro qualcosa che mi si appiccicava addosso. A dire il vero ‘sta roba era già quasi riuscita ad attaccarmisi qualche tempo fa ma forse quel giorno avevo qualche talismano contro le cazzate e l’avevo piantata lì. Uscendo, quella volta, sapevo che la partita non era finita. Niente… un anello a sezione tonda di gomma morbida e dura allo stesso tempo, otto, dieci centimetri di diametro con un foro di quattro centimetri più o meno. Tre tipi identici che a guardarli cambiavano solo per il colore. Due dai bellissimi giallo e verde evidenziatore, il terzo color vinaccia scuro sembra uno sbaglio. Li rigiro e non ci vuole molto a capire la loro funzione antistress o strumenti ginnici per rafforzare la presa delle mani, infatti sono elastici al punto giusto. Quello verde è più cedevole, quello giallo un po’ meno e quello vinaccia fa più resistenza.
Non me ne frega niente dell’antistress e di allenare la mia presa, ma visto il prezzo li prendo tutti e tre. Peccato che non costino proprio niente altrimenti ne avrei portati a casa un centinaio, forse di più se quello color vinaccia fosse stato nero o rosso evidenziatore. Lorenzo mi fa notare che quello vinaccia si abbina bene al colore della sua felpa beige. Ha ragione. Se gestissi una spa tutta legni chiari ne comprerei subito un centinaio. Si fa per dire.
Il racconto non è surreale come sembra e una volta a casa mi googlo mezzo mondo per capire chi possa produrne di identici a prezzi più contenuti. Ok, io saprei cosa farne, ma non importa, resta il loro fascino. Forma essenziale, colori splendidi, ne aggiungerei altri sette o settantasette… superfici lievemente satinate e morbide e… perfetti per farne qualunque cosa o assolutamente nulla.
Immagina cosa potresti ottenere caricando di attrazione emozionale i tuoi prodotti.
Se stai pensando a qualcosa forse aiuta tenere uno di questi cerchi in mano… o chiamarmi.

IDENTITÁ OLFATTIVA

Chi ha una identità olfattiva?
Il profumo giusto aiuta a vendere?
Pecunia non olet? È proprio vero che il denaro è inodore?
Sembrerebbe di no. Forse a prima vista, a prima sniffata…  Ma allora perché i grandi marchi pagano fior di quattrini nasi celebri per mettere a punto la propria fragranza. Quel tipo di profumo che poi verrà sparso a piene mani, si fa per dire, nei megastore di tutto il mondo.

Qualche anno fa raccontavo di tre artisti di Melbourne che avevano affidato a Integra Fragrances, una società specializzata nella progettazione di IDENTITÁ OLFATTIVE, la creazione di una fragranza davvero unica. L’aroma richiesto era il profumo che si espande all’apertura per la prima volta della confezione di un prodotto Apple. Odore di pellicola trasparente che copre la scatola, di inchiostro stampato sul cartone, di colla, della carta e di plastica all’interno della scatola e, naturalmente, quello del computer portatile in alluminio… Il profumo ottenuto era stato diffuso negli ambienti della mostra da Aroslim, un emanatore ipertecnologico.

Se il profumo aiuta a vendere e stuzzica il più animale dei nostri sensi di certo si può usare per fare scandalo e moltiplicare l’attenzione sui social. Così Gwyneth Paltrow ha messo in vendita un suo personalissimo profumo. 75 dollari per una candela dalla mescola non originalissima – geranio, bergamotto agrumato, cedro,  rosa damascena e ambra – ma dal nome decisamente forte: ‘L’odore della mia vagina’.

L’attrice ha spiegato che : “È iniziato tutto come uno scherzo tra me e il profumiere Douglas Little. Stavamo lavorando a una fragranza quando me ne sono uscita con: “Uhhh…queste essenze somigliano all’odore di una vagina”. Così  abbiamo concepito questo profumo divertente, sexy e inaspettato.

Il sesso come si sa tira e la candela a cui sono stati aggiunti con altri 39 dollari anche due rotoli di carta igienica firmata, è andata esaurita in poche ore.

Niente di nuovo.
Invenzioni, creatività e… scemenze! Ma mica tanto.
L’idea di creare una propria identità olfattiva invece è una cosa seria. Da diffondere nei negozi, nel proprio stand in fiera. Da impregnarci cataloghi e biglietti da visita.

Nel frattempo sembra vicino il tempo in cui potremo comporre essenze odorose sul nostro pc, magari utilizzando programmi innovativi, esaolfattivi, tipo scentshop, da diffondere con i nostri smartphone.

Mio figlio di mezzo, a tre anni, mentre passavamo tra i campi concimati, dopo aver fatto un respirone plateale esclamava sempre con la sua erre moscia molto noblesse – Odore di natura!

 

www.integra-fragrances.com

STILL-LIFE, FOTOGRAFARE GLI OGGETTI

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Quando scattiamo still-life e scegliamo il pezzo che rappresenti meglio il nostro brand in una campagna di comunicazione, ci siamo mai posti le domande:
– Gli oggetti sono tutti fotogenici allo stesso modo? –
– Qual’è il nostro oggetto, o la tipologia di oggetti che funziona meglio davanti alla macchina fotografica? –

Una persona può sembrarci bella o brutta, addirittura spesso abbiamo la presunzione di definirla bella o brutta e stop!
Cercando un modello o una modella per le nostre foto scegliamo tutti più o meno gli stessi tipi.
E per gli oggetti?
In base a cosa li scegliamo?
Non é che ogni oggetto venga bene allo stesso modo.
Per ogni categoria commerciale ci sono prodotti che fanno sempre la loro porca figura e altri che faticano a mostrare il loro lato migliore.
Un po’ di esempi per capirci.

Arredamento.
Una sedia, una poltroncina, uno sgabello verranno sempre benone, un armadio a sei ante al confronto non dará mai le stesse soddisfazioni.

Gioielleria.
Gli anelli  sono sempre delle star, anche quelli brutti, gli orecchini sono bellissimi quando incorniciano un bel viso, tolti dai lobi e appoggiati su di un piano… tocca fare i salti mortali.

Abbigliamento.
Con le scarpe e gli accessori in genere andiamo sul sicuro… A dover fotografare solo pantaloni il lavoro diventa sicuramente più complicato.

Cartoleria.
Una penna per banale che sia avrà sempre modo di stupirci… un quaderno… decisamente meno.

Attrezzatura per la cucina.
Posate, mestoli e coltellacci saranno personaggi intriganti per le foto dei nostri cataloghi. Anche i bicchieri hanno un’anima glamour!  Le pentole invece potrebbero darci da pensare.

Profumeria.
Boccette e boccettine, pennelli, rossetti, creme dalle confezioni intriganti… Ecco un settore dove sembra tutto facile…

Ecco! Ma cosa rende gli oggetti fotogenici?
Vediamo.
Le dimensioni e la compattezza.
Un oggetto piccolo e compatto permette d’essere fotografato da diversi punti di vista rimandando in genere immagini interessanti.
Una certa semplicità.
Un oggetto semplice (ma non troppo) con contenuti estetici immediatamente percepibili consentirà al fotografo di far leva su questi evidenziandoli.
Materiali omogenei.
Le superfici omogenee mettono in risalto le forme ed aiutano la luce a disegnarne l’immagine.

Se non siamo obbligati a descrivere ogni singolo pezzo in modo troppo didascalico possiamo giocare con i dettagli più interessanti, magari ingrandendo i nostri still-life a dismisura o inventando prospettive inusuali. Alla fine accosteremo immagini dal grande impatto emozionale a quelle descrittive.
Certo che poi la comunicazione è fatta di tanto altro… luce, suoni, movimento, grafica, testi, carta, idee…
Soprattutto idee! Come ogni cosa del resto.

Luce assassina, l’impari lotta dei lumen

Non c’è luce che tenga senza un po’ di buio.
Riflessione tornata su come un boccone mal digerito due giorni fa durante la solita visita di gennaio a VicenzaOro. Stessa atmosfera degli ultimi trent’anni. Lusso vero, lusso finto, paccottiglia… Stand buoni per mostrare i muscoli, spazi per lavorare, luci perfette da diamanti, flash da criminali, belle ragazze di coscia lunga sparse ovunque, grisaglie e scarpe da ginnastica.
Emozioni meno di zero.
Tutto a posto, solito casino organizzato, altezze da regolamento, falso legno, falsa pelle, falsa pietra mescolati a legni, pelle e pietre veri, assolutamente uguali. Senso di piattezza democratica. Soldi e fantasia che ovunque si ignorano. I primi ogni tanto fanno capolino da grandi lastre di cristallo, la seconda, non pervenuta, si dice vaghi per esposizioni orientali a cui nessuno è stato invitato.
Videowall grandi e inutili passano inosservati più delle bellezze da corridoio. Grandi insegne luminose mostrano impietose i bordi neri e oro.
Il buio non è mai buio e la luce è dappertutto, una luce da corridoio di ospedale, da mensa.
È la luce che ci frega!
Tutti gli espositori ci mettono dell’impegno a non inventare niente ma la luce che piove dappertutto ammazzerebbe comunque ogni velleità appiattendo tutto. Anche se usassimo spade laser e ingaggiassimo il dio degli effetti speciali dovremmo arrenderci a questa pioggia insensata di lumen.
Ci sarà di sicuro qualche buon motivo. La sicurezza, che ne so, i regolamenti non sono mai stati il mio forte. Anni fa avevo provato a far abbassare l’intensità luminosa in un corridoio di quelli che allora si consideravano prestigiosi per riuscire a rendere leggibile una videoproiezione di 12 metri per 3. Fu tutto inutile.
Non diamoci per vinti. Proviamo ad inventare lo stesso qualche piccola magia. Inventiamo il nostro buio per disegnare le nostre luci.

Il blu funziona sempre

Il Blu funziona sempre, e così stanotte Pantone ha deciso.
I padroni di tutte le nostre sfumature hanno scelto 19-4052 Classic Blue come colore dell’Anno 2020. Leatrice Eiseman, la direttrice del Pantone Color Institute ha motivato la sua scelta con parole ispirate.

“ Viviamo in un’epoca che richiede fiducia e speranza. Pantone 19–452 Classic Blue, una stabile tonalità di blu sulla quale possiamo sempre fare affidamento, trasmette proprio questa sensazione di costanza e fiducia. Dotato di profonda risonanza, esso costituisce una solida base a cui ancorarsi. Blu sconfinato che rievoca il vasto e infinito cielo serale, ci incoraggia a guardare al di là dell’ovvio per pensare più in profondità e fuori dagli schemi, ampliare i nostri orizzonti e favorire il flusso della comunicazione.”

Brava! E dalla Pantone  aggiungono:
–  Dal momento che l’abilità umana fatica a tenere il passo con la tecnologia, non stupisce che siamo attratti da colori onesti che offrono un senso di protezione. Tonalità non aggressiva con cui ci si identifica facilmente, l’affidabile PANTONE 19-4052 Classic Blue si presta a un’interazione rilassata. Questo colore universalmente prediletto associato all’avvento di un nuovo giorno è accolto senza indugi. –

Insomma nel 2020 le palette di designer , fashion maker e creativi in giro per il mondo dovranno ispirarsi a questo bel punto di blu.

Nel mio piccolo non posso certo dissentire dal guru mondiale dei colori quando dice che questa tonalità ispira affidabilità, fiducia speranza.  Magari anche che serva ad ampliare i nostri orizzonti oltre le profondità marine e le altezze infinite dell’Universo. Forse ne eravamo in parte già consapevoli, punto più chiaro, punto più scuro, che il blu, trasmette una certa serenità e tutte  quelle altre belle cose.
Sul fatto che  possa aiutare a pensare fuori dagli schemi ho qualche dubbio.
Poraccio ‘sto Classic Blue non è che può far proprio tutto e il contrario di tutto!

Guardo su Wiki che sa tutto e scopro per esempio che nello slang australiano “blue” viene utilizzato con diversi significati.
Making a blue: fare un errore
Picking a blue: iniziare una discussione o una battaglia
Copping a bluey: ricevere una multa (per infrazione del codice della strada)
Blue o bluey sono dette anche le persone con i capelli rossi!
  (devo dirlo a mia figlia Isabella, MC1R doc)
Ma vabbè!
È il colore dell’Anno. Non facciamoci prendere da una paura blu, dev’essere di tutto un altro colore.

Il tavolo di Natale, boccette di fumo e scatole di pensieri

Mancano poco più di quaranta giorni a Natale, è già ora di pensare ai regali. So che qualcuno li ha già pronti da Ferragosto e tanti altri aspetteranno fino alla vigilia ma questo è il momento giusto per raccontarvi del mio regalo di Natale.
Altro che boccette di fumo e scatole di pensieri.
Vediamo se mi riesce.

Un tavolo.
Che bel regalo! Soprattutto a Natale se si è in tanti.
Amo i tavoli grandi. I fratini lunghi oppure quadrati, ma che ci si possa stare almeno in 12.

Un bel tavolo da comprare e uno da inventare.

Campodoro
una mia fissa lo ammetto, portate pazienza.

Da rubarlo solo per il nome e perché è un bel gioco. Tre tavolini trapezoidali uniti da due lucidissime cerniere cilindriche. Aperto sembra un Tangram ma in un attimo diventa un trapezio lungo e stretto e subito dopo un quadrato tutto bianco.
Disegnato da Paolo Pallucco & Mireille Rivier per DePadova, è una meraviglia.

Inventiamo il nostro e per prima cosa diamogli un bel nome.
Attenzione, avevo trovato un nome bellissimo per il mio, ho googlato tanto per essere sicuro… e eccolo lì, amen!
Nel mio tavolo c’è un piano e ci sono le gambe, le gambe stanno in piedi da sole e il piano si appoggia. Sposto le gambe dove voglio. Cambio il piano e le gambe. Faccio quasi sparire il piano facendolo sottile o trasparente. Disegno gambe sexi, colorate, decorate… o le faccio sparire come una nuvola di fumo.

Scegliamo un piano dal profilo sottile oppure dallo spessore importante, come ci piace.
Di cristallo martellato, ciliegio, multistrato all’anilina nera, pietra a spacco di cava, ferro acidato, resina  multicolor o trasparente con dentro pallettes lucenti o sassi del torrente che ci passa vicino.
Facciamolo grande il nostro tavolo. Da metterci un sacco di sedie. Diamogli la forma che vogliamo. Rotonda, allungata, a forma di ogiva come un pesce o a triangolo… il più bello è nero con i fiori non ancora appassiti.
Fatto il piano inventiamo le gambe. Quante ne vogliamo e come vogliamo, l’importante è che sorreggano il piano e quello che ci metteremo sopra.
Attenzione all’altezza! Il piano di lavoro del nostro tavolo finito dovrà essere esattamente a 72 centimetri. Non facciamo scherzi che mi accorgo subito se un tavolo è più alto o più basso!
Le gambe possono essere infinite.
Una sola, un cubo o un cilindro monocromi e lisci oppure decoratissimi. Lamierini traforati e piegati, sculture, cilindri trasparenti, mille piedi sottili, onde verticali, vecchie solide gambe comprate da un antiquario. A me piacciono tutte diverse.

Pensiamo il nostro tavolo come una cosa che durerà per sempre. 
Da fare per se stessi. Da regalare alla propria compagna, da lasciare ai figli.
Anche un tavolo piccolo come un vassoio… Ma questa è un’altra storia, un altro Natale.

regali per i clienti

Anche quest’anno in questo periodo, per fortuna c’è chi lo fa molto prima, eccoci qui a pensare ai regali, ai gadget, a piccoli e grandi doni che ogni anno rivolgiamo ai clienti.
Io qui a ripetere le stesse importanti cose di sempre come fosse l’evento del millennio.

Chiamiamoli come vogliamo, sono quei gesti che mostrano ai nostri clienti l’attenzione che abbiamo per loro. Piccole o grandi cose per farci ricordare, per definire ancora un po’ la nostra immagine.

Possiamo inventarci quello che vogliamo. Raramente potremmo usare la fantasia così, senza limiti, e invece la sola parola, regali, ci ingabbia in strutture mentali rigide portandoci a ripetere, ripetere, ripetere…

Le solite cose buone, magari dolci. Sapori della tradizione, profumo di cioccolato, zenzero e canditi.  La differenza la fa il packaging.
Prendete tutta la tradizione di cui siete capaci e mettetela in confezioni che non c’entrino niente. Palle nere, sacchi avana, tubi di pelo fucsia…

Piccole trasgressioni. Roba dal design incomprensibile, arte, moda, piccoli oggetti dalle superfici lisce, cose dal significato ambiguo e dalla funzione incerta.
Diamo spazio alla comunicazione visiva. Contenitori essenziali e decorazioni creative.

Amo le matite e odio la diabolica penna a sfera che resta il gadget per eccellenza. Evitiamola come la peste. Se invece proprio non sappiamo resistere, va benissimo una Bic Cristal o una Montegrappa, dipende dal badget.
La personalizzazione può cambiare tutto.

Ricordiamoci che il packaging è il regalo. 
Quello che si vede subito. Nasconde e annuncia la sorpresa. Fa provare il primo piacere alla vista e al tatto. Racconta il tempo impiegato, la dedizione, la cultura e il gusto. 

È il pensiero quello che conta.
Non è un abusato modo di dire. È proprio vero che il pensiero è quello che conta. Per questo dobbiamo renderlo visibile.
Scriverlo è il modo più semplice per comunicarlo ma non è l’unico.
Gaber diceva che un’idea per essere vera bisognerebbe poterla mangiare. Proviamo a far sentire come sono vere le cose che scriviamo.

Perché il nostro regalo serva a qualcosa. Magari a tante cose.
Anche a farci ricordare con un sorriso.

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