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W LA LIBERTÁ di essere creativi

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Prendo spunto dalla diatriba  di questi giorni tra Messner e ‪Jovanotti per dire qualcosa sui limiti da porre alla creatività, all’inventiva, all’innovazione e perché no, alla bellezza. Per chi non sapesse, Messner ha dichiarato che se fosse per lui, il concerto del Jova a Plan de Corones, a 2275 metri di altezza nel cuore delle Dolomiti, non si farebbe mai.
Jovanotti rassicura sul suo impegno a tutela del territorio interessato dai suoi maxi eventi di questa estate, l’altro sarà a Rimini. Fin qui la disputa. Immaginate il quadro con sullo sfondo Woodstock, i Pink Floyd a Venezia, Modena Park di Vasco e le polemiche sul milione e mezzo di persone che hanno attraversato il lago d’Iseo sulle Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude tre anni fa.
Tutto bellissimo! Compresi i tanto vituperati Pin Floi resi mitici dai Pitura Freska.

Il paesaggio e le città vengono distrutti tutti i giorni da ben altro, non dalle folle attratte dagli eventi della creatività pop.

Su questo si può essere d’accordo oppure no. Che la creatività abbia bisogno di abbattere i limiti e di coinvolgere la gente credo invece possa essere un pensiero condiviso. Che si debba sempre fare tutto il possibile perchè, Natura, Ambiente, Territorio, Città, e incolumità di tutti i partecipanti siano tutelati è fuori discussione.

Qualche volta la creatività è provare ad andare oltre, tentare di inventare qualcosa di nuovo.

Portare per un momento il silenzio dove c’è sempre stato il rumore e per un giorno fare invadere dalla musica luoghi sempre silenziosi.

Stare immobili dove dappertutto è movimento e ballare, creare cinematismi dove sempre tutto è stato fermo. 

Stampare immagini sui palazzi e sulle strade.

Tagliare il paesaggio con segni sorprendenti. 

È difficile e penso comporti un’organizzazione folle ma creare eventi che coinvolgano molte migliaia di persone è un modo per diffondere la bellezza, per emozionare e unire.

Dovremmo pensarci quando progettiamo i nostri eventi aziendali. Cose mille volte più piccole ma che possiamo immaginare con dinamiche molto simili a certi grandi eventi collettivi.
Qualsiasi sia il tema del nostro progetto,  invece di ripercorrere sempre le stesse strade fatte di divieti e sensi unici varrebbe la pena sparigliare le carte, fermarsi a riflettere e imboccare strade nuove.

FACCIAMOLO STRANO – IL PRODOTTO

facciamolo-strano

 

Il prodotto, l’azienda devono essere riconoscibili.
Farsi riconoscere non vuol dire solo stampare il proprio nome dappertutto o metterci la faccia sempre e ovunque.
Farsi riconoscere significa avere stile. Un modo unico di fare, di essere, di produrre e comunicare. 

Mettici il tuo colore, quello acido, pastello, naturale, metallico… un Pantone che usi solo tu.

Di che profumo sa la tua azienda?
Di terra? Di campi falciati?
Di petrolio o di frutta candita?

Qual è il suono, la musica che ti distingue? Pensa al “booong” di Brian Eno che risuonava all’accensione del primo iMac. Come suonano le tue cose?

Pay-off, slogan… cosa dice la tua azienda? Ma soprattutto come lo dice? Che sapore, che profumo, che suono hanno le tue parole? Dolci come una torta di mele, secche come un buon bianco, affilate come una spada, didascaliche, altisonanti, piatte, rotonde, acuminate come spine o morbide come cuscini.

I tuoi progetti, le tue forme come sono?
Linee diritte e parallele o spezzate piene di angoli acuti? Curve sexi? Morbide, infinite sinusoidali, modanature classiche, ridondanti composizioni barocche… frattali, ellissi, spirali… o semplici rettangoli smilzi?

Non è obbligatorio che i nostri prodotti siano bizzarri. Uno stile può essere riconoscibilissimo con un nonnulla… purchè sia un nonnulla che faccia pensare “Ah! Però!”.

Quante scelte tocca fare per decidere chi siamo davvero.
La fregatura è che non pensarci, lasciar perdere è solo un altro modo di scegliere. 

FOTOGRAFARE LE OMBRE E LE LINEE DEI NOSTRI PRODOTTI

FOTOGRAFARE

 

Fotografare un oggetto è come dargli vita.
Sia una sedia, un anello con diamanti, una bottiglia di grappa o una giacca di finta pelle rosa, i prodotti del nostro lavoro non esistono fino a quando non vengono immortalati dalla macchina fotografica per moltiplicarsi all’infinito nel web e sulla carta stampata.

Ecco qualche idea su cose da fare e da evitare fotografando. Cose che converrebbe seguire… ma non sempre. 

AMBIENTARE, ABBINARE, ACC…
Fotografare una poltrona su di uno sfondo bianco o nel salone di una villa? In mezzo ad un prato o su una spiaggia? Vuota o con qualcuno spaparanzato sopra? Ovviamente dipende da cosa vogliamo comunicare. Resto sempre dell’idea che meno roba c’è intorno e prima si capisce chi è il protagonista.

OMBRE LUNGHE
Il disegno che tracciano gli oggetti con le loro ombre è spesso più bello degli oggetti stessi. Ombre lunghe e scure, grandi o sottili, nette o sfumate, linee diritte e curve sensuali.
L’oggetto protrebbe quasi sparire e lasciare che sia la sua ombra a parlare di lui.

ASIMMETRIE OBBLIGATORIE 
Gli oggetti devono provare a scappare dall’inquadratura, altrimenti,  se stanno lì al centro fermi come allocchi sembrano morti… Mezzi fuori e mezzi dentro sono perfetti!

MOSTRARE IL LATO OSCURO
C’è sempre un lato che non mostriamo mai. Un retro, un aspetto che riteniamo non debba interessare a nessuno. È proprio quello che potrebbe sorprendere.

FACCIAMOLI A PEZZI
Dettagli, dettagli, dettagli…
Bello il divano, ma la cucitura o il piedino potrebbero fare la differenza
Uno spigolo, un bottone, un bullone, una lamiera acidata… diamanti bianchissimi, il segno di un’imperfezione, di un materiale caldo, un tappo, una maniglia, una scatola…
Dettagli da inquadrare e mettere a fuoco con precisione chirurgica.

FOTOGRAFARE IL PRODOTTO
è un po’ come inventarlo un’altra volta.
Proporlo esattamente com’è e come non lo vedremo mai.
Come lo faremo ricordare sempre.

CI VUOLE OCCHIO E TEMPO

OCCHIO-e-TEMPO

 

Se non si ha occhio non si fa niente.
Niente architettura, niente grafica, niente pittura, niente fotografia, niente scenografia, niente design…
Per niente si chiamano arti visive.
Ci vuole occhio! 
Così come per suonare ci vuole orecchio e devi averlo tutto anzi parecchio come diceva il grande Jannacci.
Ma una volta che hai avuto la fortuna di avere un occhio capace di distinguere una bella linea da una sbilenca devi sperare che ti diano anche il tempo per accorgertene.
Bisogna aspettare perché le forme si rivelino. 
Spesso basta un attimo ma tante volte quella che sembrava una scelta  perfetta due ore o due giorni dopo mostra i suoi lati storti.
Purtroppo il tempo è sempre troppo poco, sempre meno.
Spesso nelle aziende giunti al momento di far entrare in gioco la creatività si ha troppa fretta di finire e difficilmente si possono programmare pause di riflessione. Così capita che un lavoro lo si debba fare tre volte oppure che ci si accontenti.
Mettiamo in campo per tempo l’occhio e diamogli il tempo di abituarsi alla luce!

IL DESIGN, CENT’ANNI DI SOLITUDINE

IL-DESIGN
In questi giorni si celebra l’anniversario della fondazione della BAUHAUS. La scuola di architettura, arte e design fondata a Dessau nel 1919 da Walter Gropius, trasferita a Berlino nel 1932 e chiusa definitivamente nel 1935 per le imposizioni discriminatorie del nazismo.
Con la BAUHAUS iniziava un modo nuovo di intendere il prodotto industriale, riconoscibile dall’unità d’intenti tra forme d’arte e sistemi produttivi.

Dopo cento anni la parola DESIGN è sulla bocca di tutti ma il suo significato si è annacquato sciogliendosi in mille accezioni nebulose.
Di certo, se è cresciuto il numero dei progettisti capaci di coniugare funzionalità e ricerca estetica nella consapevolezza del loro ruolo, desiderosi di offrire all’industria e agli acquirenti oggetti belli e costruiti bene, non si può dire che si sia diffusa in modo altrettanto convincente una cultura estetica moderna.

Tiriamo in ballo ad ogni piè sospinto il “less is more” di Mies Van der Rohe che dalla BAUHAUS portò in America e da lì nel mondo i principi del moderno, quelli che oggi mescoliamo con decorazioni e ricerche creative spesso molto sopra le righe.
Dal fashion design all’interior design è ormai lecito tutto in una fruizione di massa che per lo più ignora ogni riferimento, ogni ironia, in un consumo individuale senza regole se non quelle antitetiche del sorprendere e del rassicurare.

Sono passati cent’anni, cent’anni di solitudine per il design che si rivolge ancora e forse più di allora ad una ristretta élite culturale mentre il mercato offre mille cose diverse in un minestrone digeribile a tutti.

In un mercato così vario se offriamo prodotti di qualità dobbiamo affrontare il percorso arduo di informare, spiegare, acculturare e costruire un nostro pubblico che apprezzerà senza riserve il lavoro fatto perché lui possa farne parte.

Simmetria, malattia infantile

È bellissimo! È simmetrico!

C’è chi ama tantissimo la simmetria e non ne può proprio fare a meno.
Attenzione! Si tratta di essere posseduti da un demone subdolo, da una malattia grave.
Per dirla brutalmente, chi ama tanto gli altarini, chi  adora la perfetta simmetria di un saint honorè e non dubita nemmeno per un istante sull’ovvietà dei calzini gemelli… non più così ovvi… Ecco… difficile dirlo ma… Chi non sopporta neppure l’idea che i comodini a lato del letto possano essere uno diverso dall’altro… ahimè! Sappia di avere una forma acuta di sindrome da simmetria. Attenzione! Non è una malattia professionale, roba da grafici, designer o architetti… tipo gomito del tennista.
No! E’ un brutto virus e ce lo becchiamo tutti senza scampo.
Malattia simile al morbillo ma senza papule. La sindrome da simmetria è lo stato normale fino ai quattordici anni, fino a quell’età optare per scelte simmetriche è inevitabile e solo pochi picchiatelli la scampano da piccoli. Con l’età adulta la questione diventa preoccupante, anche perché continuare ad avere gli stessi gusti di un moccioso, detto tra noi, non è proprio il massimo.
Tranquilli, non è semplice, ma si guarisce. Ve lo dice uno che ne ha sofferto in forma grave per un sacco d’anni. La simmetria ci vuole bene come una mamma, ci tranquillizza, fa sembrare tutto perfetto, in equilibrio, concluso… bello!
Il risultato è che ci rinchiude in una gabbia rigida e vecchia. Uscirne è dura, comporta fatica, applicazione, bisogna iniziare a fare scelte diverse, difficili, peggio che iniziare a mangiare la cicoria.
Arredare la cucina e ruotare il tavolo che prima era perfettamente parallelo alla parete dandogli una bella angolazione di 23, 24 gradi. Scegliere di avere sedie tutte diverse in giro per casa. Cambiare il proprio look e finalmente indossare calzini spaiati. Lasciare lo show-room dell’azienda mezzo vuoto con una fila di vetrine drittissima e sbilenca. Portare un orecchino solo ma lunghissimo appeso al taschino della giacca… Così via di asimmetria in asimmetria!
In men che non si dica diventerà difficilissimo anche solo pensare di arredare la propria camera da letto con due comodini uguali, immaginare di vivere con l’ingresso a tempietto greco e anche solo pensare di comporre un paragrafo di testo come fosse un’antica epigrafe.
Finalmente guariti ci verrà naturale sparigliare in asimmetrie creative a volte anche un po’ pazzarielle!
Sarà allora che ci verrà nostalgia dei bei tempi in cui un asse di simmetria risolveva tutto. Nostalgia delle siepi di bosso ai lati del vialetto, delle poltroncine uguali ai lati del caminetto… Non preoccupatevi, la sindrome da simmetria è come il morbillo, quando la si è avuta non si prende più, tanto che in qualche rarissima occasione potremo permetterci di esclamare…
È simmetrico! È bellissimo!

NUOVI STAND CAMBIANO

NUOVI-STAND-CAMBIANO

Il nostro stand può adattarsi alle nostre esigenze?

I nostri spazi espositivi possono trasformarsi?
Abbiamo bisogno di un sacco di sedie in certi momenti e in altri vorremmo farle sparire.
La struttura del nostro stand deve adattarsi agli spazi di diverse fiere e anche gli arredi dovrebbero trasformarsi, modificarsi, restringersi, allungarsi…
I tempi cambiano e l’immagine del nostro stand, del nostro negozio, dovrebbe potersi adattare facilmente alle nostre nuove strategie di marketing.
Sedie, tavoli, vetrine e tutta la struttura dovrebbero comportarsi come un grande gioco ad incastri in cui i moduli possano sparire, essere sostituiti da altri, aggregarsi, moltiplicarsi e dividersi.
Dobbiamo spedire il nostro stand in giro per il mondo? Replicarlo tale e quale dall’altra parte del globo? Ecco allora che fantasia e innovazione si devono abbinare a parole come semplicità, modularità, leggerezza, compattezza e facilità di riproduzione.
Lavoriamo nel mondo del lusso?! Per esprimere l’eccellenza del nostro marchio possiamo progettare costruzioni modulari con materiali pregiati e se necessario con elementi complessi. Non dimentichiamoci che la pulizia delle linee delle nostre creazioni esalta il loro valore.

Non dimentichiamoci che tutto inizia da una bella idea da sviluppare con rigore e semplicità.
Creatività, innovazione e rigore progettuale ci permetteranno di ottenere il massimo risultato, un’immagine forte e precisa, contenendo i costi di realizzazione e di gestione dei nostri spazi espositivi.
Un’idea?
Perché usiamo così poco i materiali tessili, i materiali espansi e i materiali morbidi in genere?
Tende, tendoni, tappeti, poliuretani, feltri, gomme e  carte possono adattarsi a tantissimi usi.
Materiali dalle qualità e dai costi molto diversi che offrono un’infinità di soluzioni tecniche ed estetiche.
Inoltre, essendo poco usati, ci permetteranno di differenziarci e di… stupire!

Cambiare in meglio il nostro stand con una spesa davvero minima è possibile.

Ci vediamo in in giro per Fiere!

FA’ SUCCEDERE QUALCOSA

FA-SUCCEDERE-QUALCOSA
Fa’ succedere qualcosa.
Trova un prato in un bel posto.
Una piazza.
Una spiaggia.
Un parcheggio sempre vuoto di un’area industriale.
Fissa un appuntamento.
Usa tutta la fantasia che ti circonda e spendi meno soldi che puoi.
Non badare a risparmiare.
Cerca un coro di bambini.
Fa’ un po’ di musica.
Abbraccia e ridi.
Accendi un fuoco e canta.

Offri qualcosa di buono e di caldo da bere.
Fatti duemila selfie con tutti.
Non aspettarti niente.
Invita a prendere dalla festa un ricordo.
Collegati su un grande schermo con chi è lontano.
Manda un pezzetto di festa a chi non è potuto venire.
Inventa un  regalo da fare tutti insieme ai bambini che cantano.
Qualcosa che si ricorderanno.
Inventa un gioco e un ballo,
Aspetta la sera, l’alba, la neve.
Ascolta il silenzio, il vento, la pioggia, le chiacchiere e i sorrisi.

Mancano meno di due mesi a Natale e se hai deciso di regalare qualcosa ai tuoi clienti fa’ in  fretta.
È già tardi.
Scegli, acquista, confeziona e spedisci.

Oppure fatti venire un’altra idea.

SENZA REGOLE NON C’È PROGETTO

SENZA-REGOLE

La creativitá senza limiti è peggio di una prigione.

Senza paletti precisi si gira in tondo senza poter  prendere una direzione.
Quando lavoro ad un nuovo progetto, ad un nuovo prodotto, ad un catalogo, a un sito internet, a uno stand, o a una qualsiasi delle tante attività che investono la sfera creativa all’interno di un’impresa sono contento quando incontro un imprenditore capace di indicare i confini del progetto, che sa dare una forma al campo di gioco.

Ho bisogno di conoscere le tecnologie con cui costruisci i tuoi prodotti, funzionalità, dimensioni, materiali…  le caratteristiche principali del tuo mercato, chi sono i tuoi clienti, gli obiettivi che vuoi raggiungere.

Le tue indicazioni sono un faro per la mia creatività.

La creatività senza limiti è come un’azienda senza dirigenza, senza padroni.
Per questo prima di partire e dar la briglia all’immaginazione ti chiederò dove vuoi andare.

Mi racconterai  quello che hai in mente. Quello che ti piace e quello che proprio non digerisci.
Solo così, con i tuoi picchetti piantati a delimitare il campo e con i tuoi racconti che dipingono il nuovo orizzonte saprò dove andare a parare.

STAI SVILUPPANDO UN PROGETTO CREATIVO?
Parliamone e vediamo se c’è spazio per svilupparlo insieme.

UNA CREATIVITÁ ESAGERATA

UNA-CREATIVITÁ-ESAGERATA

 

Esagerare è una gran bella tecnica creativa.
Nella realtà quasi sempre il mio lato folle che tende a produrre “esagerazioni” è mitigato da consapevolezza, rigore, senso del limite, funzionalità… e da clienti con budget molto precisi.
Alla faccia di tutti quelli convinti che  –  si possa far tutto, purchè non si esageri  – vi racconto per l’ennesima volta  un po’ di esagerazioni creative.

– Collezioni fatte di frammenti rubati ovunque. Materiali, forme, colori, stili da rimescolare in un nuovo tempo, in una nuova forma, in uno stile che appartiene solo a noi.

–  Un LOGO semplice, un segno, uno solo, sottolineato da un breve pay–off straniante.

– I colori naturali sono una noia. Ma esistono i colori naturali? Meglio colori acidi, fluo, pastelli appena percettibili o saturi come schiaffi.

– Vetrine invisibili. Da svelare al tatto, al suono di parole magiche, digitando password licenziose.

–  Un grande stand? Bisogna accentuare verticalità o orizzontalità.

– Un piccolo stand? Può diventare immenso con un’idea semplice, un materiale usato in modo originale, una  trasparenza, una luce, una chiusura.

– Fotografiamo con pochissima o tantissima luce. Sotto e sovraesposizione a go–go.

– Il racconto del lavoro, dell’azienda, la didascalia di un prodotto…  scritte con parole inusuali, semplici, emozionanti, con il ripetersi ritmico di un suono, la descrizione ripetitiva di un momento.

– Prodotti che parlano, anelli grandi, rotondi come palle di Natale, cuscini da attorcigliare, mensole da arrotolare…

– Lo spazio vuoto e la pagina bianca sono gli spazi più creativi su cui far galleggiare grandi immagini in movimento.

– Cataloghi da esplorare attraverso i colori, senza i numeri delle pagine.

Dimentichiamoci per un secondo del buon senso, delle regole, dell’equilibrio e della misura… ci sarà tempo poi di segnare il limite, di rendere funzionale, comprensibile, economico…
Salviamo l’idea esagerata, quel guizzo che non merita di trasformarsi in un brodino tiepido.

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