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Una parola magica: NUOVO.

NUOVO_2NUOVO era una bellissima rivista di pubblicità stampata tra gli anni ’70’ e ’80. Giustamente l’editore aveva innalzato questa parola a totem, insegna di un intero settore. Nuovo è  un aggettivo che si appioppa a ogni oggetto di design e sicuramente una delle parole più usate nel marketing. Quando un’azienda passa di mano alle nuove generazioni spesso non si trova niente di meglio che aggiungere al vecchio nome questo aggettivo palingenico (che fa nascere di nuovo). Qualche volta ciò che viene bollato come nuovo, nel marketing, nel design, nella comunicazione televisiva, al cinema, nella moda e un po’ dappertutto di nuovo non ha proprio nulla. Ma c’è di peggio! Anche quando la creatività partorisce un’idea davvero innovativa non sempre questa viene usata bene e avvantaggia l’azienda che  ha speso tempo e soldi per darle vita. Spesso il NUOVO ha poco a che fare con l’identità aziendale, con il pubblico che ha fatto la fortuna di quell’azienda. E’ nuovo e tanto basta! Uno specchietto per le allodole. La magica novità non produce sempre gli agognati risultati sui fatturati. C’è da dire che questo effetto di abbagliamento, di ricerca compulsiva del nuovo design, del nuovo packaging, della nuova grafica, di una nuova idea è spesso appannaggio di aziende piccole e sprovvedute che accecate dal luccichio della novità si dimenticano di tenere ben saldo il timone sulla rotta prefissata  e segnata dalle stelle dei principi qualificanti della propria identità, dai suoi valori, dalle parole chiave che le danno significato. Non è facile definire l’ambito in cui sciogliere le briglie alla fantasia perchè il risultato alla fine esalti e valorizzi il proprio marchio. Meglio farsi aiutare da chi è abituato a gestire la propria creatività verso obiettivi precisi. Non sempre NUOVO è bello e utile.

SPAZIONADIR compie quattro anni

SPAZIONADIROggi SPAZIONADIR compie quattro anni. Per chi non lo conoscesse lo spazio creato da Nadir nella sua bottega di barbiere in Contrà Santa Caterina 20 a Vicenza è un piccolo-grande luogo di incontri culturali, quelli veri, dove la gente si incontra attirata dalla voglia di condividere passioni, interessi, conoscenze e semplice piacere di stare insieme. Gli ultimi due appuntamenti a cui ho partecipato, tanto per dare un’idea di ciò che avviene a SPAZIONADIR, sono stati: il 16 novembre la testimonianza intensa di Chiara che ha ricordato l’immensa figura di Don Gallo e prima, il 2 novembre, la presentazione della collettiva Micro Metamorfosi – Un ritorno alla pittura. Due eventi diversissimi che danno il senso di quello che Nadir accoglie e sa far succedere. Tutto molto semplicemente, uno dei rari posti dove anche il design non se la tira!

spazionadir.blogspot.it

Colora i tuoi mobili vecchi

mobili_colorati_a_634Abbiamo tutti dei mobili vecchi, roba degli anni sessanta o magari di un paio di decenni prima, nulla a che vedere con l’antiquariato, oggetti strani con le maniglie in ottone, grandi specchiere e piani in cristallo. Magari stanno in garage o in soffitta da una vita, non sono proprio brutti ma non c’entrano nulla con l’arredamento che abbiamo ora. Allora perché non trasformarli con un violento restyling cromatico. E’ incredibile come una botta di colore cambi completamente il significato di un qualsiasi mobile riqualificandolo, da vecchiume a segno pop, da ammuffito ciarpame a chicca vintage. I nostri mobili vecchi colorati mantengono l’aura nostalgica del tempo ma rivivono con l’aggiunta di una spudorata grafica optical o flowers, a righe o a pois, o con una qualsiasi texture inventata con un timbro di spugna o con i rulli fatti apposta.
Anche solo una bella tinta uniforme, rosso, giallo, turchese, renderà il comodino della nonna un contenitore strachic da esibire come una scultura d’autore.
Il lavoro è semplicissimo e la parte più difficile sta tutta nel trovare il tempo e la voglia.
Tolti eventuali cassetti, smontate le antine e gli specchi, insomma disarticolato il nostro comò, la cassettiera, l’armadio o il comodino, per le sedie di solito è tutto molto più semplice, a quel punto daremo a tutte le parti una passata con la carta vetrata fine, una cosa leggera, servirà solo ad aumentare il grip della vernice. Poi, pulite le superfici con un panno, maschereremo con del nastro carta da pittori, le parti che vorremo preservare e a quel punto potremo cominciare a stendere il colore con dei piccoli rulli.
Per il colore consiglio le vernici acriliche, ce ne sono di buonissime, di tutti i colori, vanno diluite con pochissima acqua, non puzzano e asciugano relativamente in fretta.
Il segreto per ottenere risultati perfetti è proprio attendere che il colore steso sia asciutto prima di procedere con un’altra mano dello stesso colore o, a maggior ragione, con altri colori.
Attenzione, meglio acquistare il colore già fatto, i colorifici sono in grado di produrre qualsiasi colore scelto, nel caso invece vogliate fare gli artisti davvero, ricordatevi di comporne una quantità sufficiente a terminare l’opera, doverlo rifare della stessa tonalità potrebbe non risultare facilissimo.
Solo un po’ di pazienza e i vostri mobili vecchi colorati vi daranno grandi soddisfazioni!

Architetture della memoria

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Un’idea per questi giorni in cui magari siamo un po’ più liberi di andare in giro.
Dato il periodo, vi propongo la visita a due architetture della memoria, due cimiteri progettati da due architetti che considero miei maestri più di tanti altri che pure amo. Il primo è il cimitero di San Cataldo a Modena progettato da Aldo Rossi nel 1971. Nella poetica del grande architetto milanese si fondono razionalità e sogno. Le geometrie che delimitano il prato e il cielo con le loro differenze cromatiche danno la sensazione di essere in un quadro di De Chirico. Se gli edifici di Rossi sono tutti architetture della memoria il cimitero di San Cataldo congela il significato della morte e del ricordo.
Un secondo breve viaggio lo merita il cimitero di San Vito di Altivole in provincia di Treviso in cui la tomba della famiglia Brion, quella dei televisori Brionvega per intenderci, si pone proprio come un cimitero nel cimitero. Se il cimitero di Rossi è classicamente monumentale, è un grande cimitero urbano, quello progettato da Carlo Scarpa per i Brion è un luogo in cui la complessità organica della natura frantuma gli spazi e rende la visita più leggera, un giardino moderno riccamente disegnato. L’opera costruita tra il 1970 e il ’78 anno della morte di Scarpa ne accoglie anche la tomba che per volere testamentario si colloca tra la sua opera monumentale e il cimitero del paese.
Carlo Scarpa e Aldo Rossi, due modi lontanissimi di affermare lo stesso valore simbolico della vita. E’ inspiegabilmente raro oggi che i cimiteri assumano il valore di architetture della memoria, più facile che la morte sia assoggettata come la vita alla soluzione di problemi funzionali quale l’occupazione dello spazio.
Tanti brutti condomini per i vivi e per i morti!

 

Uno stand di successo.

peroni-e-la-tripolina_634Lo stand che ho progettato per NANIS, l’azienda vicentina produttrice di gioielleria, per la grande kermesse di ViOro 2010, continua a restare nella memoria come un oggetto di grande impatto, un allestimento forte, di successo, realizzato davvero con poco!
Il destino degli allestimenti fieristici, anche degli stand più importanti, è quello di sparire, di essere smontati, di lasciare solo ricordi. Questo è uno dei motivi per cui amo lavorare a queste creature effimere che abbagliano e svaniscono.
La struttura del grande parallelepipedo nero, 18 metri per 5 e 6 di altezza era già stata realizzata quattro anni prima quando con NANIS avevamo dato spazio ai video proiettandoli a tutta parete su tre dei quattro lati creando uno sfondo ideale per le sfilate delle modelle ingioiellate. Primo stand  fortemente fashion oriented a VicenzaOro.
Eliminati gli schermi avevavamo pensato ad un vestito leggero, vedo non vedo, ad una cortina semitrasparente che rivestisse tutta la struttura metallica dandole unità e compattezza ma nello stesso tempo permettesse sguardi furtivi interno/esterno e viceversa innescando quel gioco di relazioni per cui a volte è sufficiente incrociare uno sguardo per catturare l’attenzione di un possibile cliente. Si era scelta la tenda “tripolina” di Peroni, l’azienda leader nella produzione di materiali scenici, una fitta cascata di sottili fili neri che dal perimetro del soffitto avrebbero toccato terra. Bello! Unità d’intervento e filtro dentro/fuori erano stati creati… mancava l’effetto finale! L’idea brillante, quel qualcosa da esclamare… wow!!! I fili della “tripolina” che ricoprivano lo stand sembravano proprio una gonna belle epoque, tutta frange e applicazioni scintillanti. Ecco l’idea, sarebbe bastato applicare le pallettes per trasformare un materiale interessante ma omologato in una seducente, grande esplosione di riflessi. E così bastò fustellare lo specchio flessibile sempre di Peroni con 2000 piccole sagome che riproducevano le forme caratteristiche dei gioielli NANIS e ricoprire i 140 mq delle due facciate esterne.

Un bel gioco! Semplice, fatto quasi di niente che penso molti ricorderanno ancora. 

www.peroni.com

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Il design che mi piace.

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Voglio condividere 10 cose belle del design che mi piace.

Dieci oggetti creati da designer famosi. Magari anche solo da guardare in foto o nelle vetrine. Oggetti più o meno costosi, più o meno datati, niente di particolarmente raro o originale, cose che ho incontrato, qualcuna mi è stata regalata e qualche altra l’ho usata per rendere piacevoli gli ambienti in qualche allestimento.
L’ordine della lista è puramente casuale, così a caso.
1 – Imbuto – La lampada disegnata da Caccia Dominioni per Azucena all’inizio degli anni ’50 – Uno stelo esile esile che finisce con un imbuto che contiene la lampadina. Era uno degli steli più economici, credo sia ancora in produzione.
2 – Arco – Un’altra lampada, questa volta davvero famosa, forse la lampada più famosa di tutte, disegnata da Achille Castiglioni che considero… il genio delle lampade! La conosciamo tutti: un bel blocco di marmo da cui parte l’arco sottile alla cui estremità galleggia un bel pezzo di sfera che si può girare a piacimento facendola scorrere su di una scodellina bucherellata. Flos non cesserà mai di produrla.
3 – Quatour – Il tavolo che amo di più. Una piazza d’armi 165×165 (ho scoperto ora che esiste anche la versione 220×220… mah!) fatta di tavolette sottili impiallacciate di frassino chiaro. Il mio l’ho fatto anilinare nero quasi trent’anni fa. Disegnato da Carlo Scarpa è prodotto da Simon Gavina dal 1974.
4 – Wink –  la poltrona di Cassina con le orecchie! Tanti colori e fantasie,  Wink si trasforma e da sola arreda una stanza. Disegnata da Toshiyuki Kita nel 1980.
5 – Conica – La caffettiera disegnata da Aldo Rossi per Alessi. Bella ma… non ci ho mai fatto un caffè! Regalata da un amico avvocato al mio primo matrimonio, una premonizione.
6 – Ciotole – Forse non sono famose ma le “ciotole” di legno multicolore tornito realizzate dal laboratorio dell’architetto Giorgio Guasina a Recoaro Terme, qui vicino a me, riscaldano le case di tanti vicentini e sicuramente qualche loft a Manhattan.
Quanti anni ’60 e ‘70 nel design che mi piace. Chissà perché? Forse è perchè, come diceva qualcuno… “… è stata l’ultima volta che siamo stati felici!”
7 – Sciangai – l’appendiabiti di legno fatto come l’omonimo gioco. Disegnato da De Pas, D’Urbino, Lo Mazzi, per Zanotta nel 1974. Mi è sempre sembrato proprio un gioco!
8 – Bookworm – La libreria di Ron Arad per Kartel. Un’onda da piegare come si vuole. Ok! Ormai un classico che domani lo fa l’Ikea e si trova dappertutto. Però nel 1993 è stata una grande idea.
9 – Mezzadro – Lo sgabello fatto col sedile di un trattore. Quarant’anni fa lo poteva pensare solo lui. Achille Castiglioni non era solo il genio delle lampade.
10 – Plia – La sedia. Perfetta, semplice, pieghevole, uno snodo che ci permette di farla sparire in soli 5 cm. Il volto più serio del design italiano. Di Giancarlo Piretti per Castelli. Da cinquant’anni al MoMa e dappertutto.
Un’altra volta altre cose altrettanto belle e importanti del design che mi piace.
Poi ci sono tanti oggetti senza nome, bellissimi, disegnati dalla necessità e dalla fantasia… ma questa è un’altra storia.

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T–shirt personalizzate

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T–shirt personalizzate da YR Store in Boxpark il grande centro commerciale di Londra dove è possibile acquistare e disegnare la propria t–shirt stampando le immagini che più ci piacciono, creandole lì direttamente sui grandi schermi touch screen con applicazioni di grafica a disposizione nel negozio, oppure elaborando con calma le immagini da casa per poi portarsele in negozio con una chiavetta USB o via e–mail. Le nostre immagini verranno stampate in pochi minuti su magliette di qualità che ci porteremo a casa con sole 20 sterline.
Un gioco da ragazzi per t–shirt personalizzate con stampe di qualità.
Ancora una volta è il caso di riflettere su come la tecnologia digitale ci stia permettendo sempre più facilmente di creare nuovi oggetti (stampanti 3d) o di personalizzarne di esistenti (stampanti a sublimazione) in quantità molto limitate a costi più che ragionevoli, impensabili fino a qualche tempo fa quando per abbattere i costi di avviamento ed avere prezzi unitari decenti era necessario prevedere la produzione di grandi quantità di oggetti uguali. Ora invece sono diventati concreti i concetti di personalizzazione e le piccolissime campionature a basso costo.
Queste sono le nuove frontiere della creatività e dell’arte. 

 

Quando il design sorprende


trasformisti_oggetti-che-si-trasformano_634Da sempre il design sorprende con la polifunzionalità.
Gli oggetti capaci di trasformarsi in qualcos’altro o che offrono diverse possibilità d’uso emanano una forte attrattiva verso il pubblico. Inoltre proprio grazie alla loro versatilità permettono alle aziende che li hanno creati di comunicare efficacemente. Il divano–letto con meccanismi magici, la scala che all’occorrenza diventa libreria, tavoli che si allungano, si allargano e cambiano geometria, lo straccetto che da gonna diventa giacca, la collana che si trasforma in bracciale e l’anello che diventa orecchino. Dietro tutti i “trasformisti” c’è un ufficio creativo, ci sono designer con un obiettivo preciso: sorprendere! Quando una persona ci  sorprende non la dimentichiamo, qualche volta ce ne innamoriamo, spesso ne rimaniamo affascinati. Così per gli oggetti e per le aziende che questi rappresentano.
Ma attenzione non è facile. Quando si vuole sorprendere con un colpo di teatro il grosso rischio che si corre è quello di risultare ridicoli o, quando va meglio, di lasciare perplesso il nostro pubblico. Per evitare di far la figura del cioccolatino è fondamentale seguire due regole essenziali: semplicità e funzionalità.
La trasformazione deve avvenire come per magia, in un amen! Non ci devono essere istruzioni complicate da seguire, dovrà sembrare tutto facile e divertente come un gioco. L’oggetto che ha una sua funzione precisa, una volta trasformato magicamente, dovrà soddisfare con la stessa precisa funzionalità ad un’altra necessità. Non dovremo trovarci davanti a qualcosa che sì… forse… dai… è vero… ci assomiglia!
Dovrà far sorridere e pensare, che bello!
Accidenti era così facile, perché non l’ho inventato io! Allora il design sorprende!

Nell’immagine: elaborazione grafica della collana “trasformista” di NANIS

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Vintage Festival 2013 a Padova

Ieri lunga coda per entrare al Vintage Festival 2013 a Padova. Diciamo che ne è valsa la pena! Tra la folla tanti vintage look più o meno riusciti e tra gli oggetti in esposizione a far la parte del leone gli occhiali, tantissimi occhiali di tutte le fogge e le epoche… dai prezzi non proprio sempre giustificati. Poi borse, cappelli, stoffe, abiti, bijoux, scarpe, stampe, immagini, arredi… e chi più ne ha più ne metta, dalla musica al ballo, all’immancabile esibizione di burlesque.
Bello! Vestito della festa… olè!

La linea curva, la retta e la fretta.

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Il progetto? Sta tutto nel primo scarabocchio!
Disegnare un anello o un orecchino e da lì inventare una nuova collezione. Progettare una seduta imbottita, un divano, una sedia… una lampada, un tavolo, una borsa,  e da lì definire l’immagine dell’azienda che in quel prodotto si manifesta.
Il processo del design inizia nella folgorazione di un’immagine, prosegue nello scartabellare tra tutto quello che abbiamo letto, ascoltato, discusso, nell’attingere a tutto il nostro background culturale e si manifesta in uno striscio di matita per fare poi ancora un sacco di strada tra esecutivi, prove, prototipi, marketing, ecc…
Ma è quella prima linea di matita che dovrebbe dirci in che direzione stiamo andando.
Una linea curva tutta morbidezza e sensualità o la pulizia minimal di una retta?!
Purtroppo la questione è un filo più complessa.
Esistono curve meravigliose ed altre assolutamente sgraziate, rette che danno senso ad un oggetto e altre che lo rendono spigoloso e repellente.
La sensibilità visiva se uno non ce l’ha non se la può inventare. E’ come per la musica, c’è chi ha orecchio e chi no e –  c’è chi ha occhio e chi no. Poi certo tutto si può affinare, si può studiare e migliorare. Un consiglio, nell’iniziare a pensare ad un nuovo prodotto, al disegno di un oggetto che metteremo in produzione, vale la pena avvalersi di chi ha confidenza con la matita, di chi riesce a rendere piacevole anche uno scarabocchio.
Ok! La sensibilità è importante, ci sono cose difficili da spiegare a parole ma un bravo designer dovrebbe essere sempre in grado di dirvi il perché di una linea curva e di farvi cogliere la necessità di una linea retta.
Infine ci sono gli errori, tutti possono commetterne. Il designer capace saprà individuarli e se avrà il tempo correggerli. Perciò non mettiamoci troppa fretta! Anche l’occhio più allenato a volte ha bisogno un po’ di tempo per accorgersi di una stonatura. Tutti i progetti meritano di sedimentare per un po’ sotto il nostro sguardo prima di diventare esecutivi.

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