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W L’ITALIA, fare branding per l’italian style

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Altro che Italian Style!
Tiriamo fuori il tricolore e gridiamo W L’ITALIA ogni quattro anni solo quando arrivano i mondiali di calcio.
Anche le imprese che esportano la nostra produzione più raffinata sventolano la bandiera italiana piuttosto raramente, non mettono il simbolo dell’italianità in evidenza sui loro prodotti, sul packaging, sulla stampa, sui loro siti internet e francamente sembrano fregarsene di affermare il valore della creatività italiana nel mondo.
Nonostante il riconoscimento assoluto dei nostri marchi più prestigiosi, non siamo riusciti a creare un’aura commerciale intorno al  nostro tricolore.
Non un marchio del Made in Italy che già esiste e non ha nulla a che fare con la bandiera ma un uso creativo diffuso e diversificato del bianco, rosso e verde che esprima la gioiosa affermazione della creatività italiana e dell’italian style.
Ok, non è facile con un simbolo così poco grafico, così simile a tanti altri.
L’esempio più eclatante di un uso commerciale diffuso del vessillo nazionale è l’Union Jack, proprio la bandiera dei nostri avversari di domenica notte. La “perfida Albione” ha piantato la sua bandiera in tutto il mondo più con la musica dei Beatles e dei Rolling Stones che con le conquiste coloniali. La bandiera inglese è diventata un simbolo dissacrante di libertà e creatività negli anni sessanta diffondendo ovunque il rock esplosivo di Mick Jagger e la moda trasgressiva di Mary Quant. Anche la “Stars and Stripes” americana è diventata un simbolo grafico, un vero e proprio brand commerciale sull’onda dell’egemonia culturale dilagata in occidente dopo la seconda guerra mondiale.
Ora, con lo spostamento repentino del baricentro commerciale mondiale verso oriente, c’è una inaspettata richiesta di storia, di cultura, di un innato senso estetico, di un italian style di cui siamo immeritatamente portatori. I nostri brand storici come Ferrari, Armani… insieme alle giovani aziende emergenti dovrebbero usare più spesso il tricolore per identificare la creatività diffusa che ci contraddistingue.
Tricolore come impronta di cultura, storia e bellezza necessarie al mondo non come icona nazional–popolare autoreferenziale. Giochiamo con i nostri simboli, lasciamoceli rubare, facciamo sì che un’onda lunga di creatività tricolore affermi l’Italian Style inondando il mondo a partire ancora una volta da là dove sorge il sole e ci amano di più!

PS – Con l’Inghilterra vinciamo noi 2 a 0.

CREATIVITA’, TEMPI, COSTI E QUALITA’

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In questi tempi di crisi l’equilibrio tra tempi, costi e qualità del lavoro è un po’ andato a farsi friggere!
Anche il lavoro creativo non fa eccezione.
La parola “urgente” è entrata a far parte della top ten del vocabolario di chi produce qualsiasi cosa, anche creatività.
Ma è possibile mantenere qualità e costi accettabili al restringersi inesorabile dei tempi?!
Il “triangolo di Dempster” o “Project Triangle” o “Triplo Vincolo” che dir si voglia mette proprio in relazione tempi, costi e qualità o obiettivi per inquadrare il problema in una visione più ampia. All’inizio del progetto il committente dovrebbe definire l’ordine delle priorità. Dovrebbe porsi la domanda: cos’è più importante? Avere un depliant dalla grafica innovativa, curato in ogni dettaglio, stampato divinamente usando materiali inusuali, ai costi più bassi del mercato e alla velocità della luce non è possibile. E allora a  cosa posso o devo rinunciare? In genere si tende a soprassedere indicando soltanto la necessità dell’urgenza e dando per scontato che la qualità e i costi debbano essere i migliori.
E il lavoro creativo come si colloca nella morsa di questi tre vincoli d’acciaio?!
Credo che avere ben chiari i limiti del proprio lavoro faccia parte della preparazione e della sensibilità di un creativo che lavora per le imprese.
Un grafico, un designer, un copywriter o qualsiasi altra figura professionale che operi nel campo della comunicazione e del design al momento di accettare un incarico dovrebbe farsi un’idea del livello minimo di qualità a cui mira il committente e capire se i tempi e il budget messi a disposizione siano sufficienti ad ottenerla. Ovviamente lo stesso vale per il committente in modo diametralmente opposto. Il designer o il creativo di turno ha capito quello che voglio? Di che livello dovrà essere il suo lavoro, di quanto dovrà costare e in quanto tempo dovrà essere tutto finito?
Se ci si rende conto che i termini non sono chiari sarà bene aprire un confronto schietto in modo che alla fine tutto sia chiaro evitando spiacevoli equivoci.
Visto che è la fretta a farla da padrone sorge spontanea un’altra domanda: la creatività ci perde sempre ad essere compressa nei tempi a volte troppo stretti imposti dalla committenza? Fermo restando che i miracoli per definizione non avvengono di continuo, penso che una valutazione corretta dei tempi di realizzazione stia alla base di un buon lavoro. Poi certo c’è chi ha una percezione del tempo paralizzante e chi invece trova stimolante l’avvicinarsi della scadenza.
Credo però che non ci sia creatività senza scadenze, senza limiti. I paletti costituiti dalla definizione di tempi, costi e qualità segnano il territorio economico– temporale, indicano i percorsi ed aiutano a trovare lo striscione d’arrivo di un progetto. Senza limiti si potrebbe vagare all’infinito, senza risultati, alla ricerca della perfezione.
Ok?! Scappo che ho fretta!

Uno Stand fantastico a VicenzaOro

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Stand fantastico della Buendia Jewels nell’angolo a destra appena dentro VicenzaOro.
Alto, altissimo, trasparente, luminoso con personalissime grafiche psichedeliche.
Un’impalpabile evanescente cascata di tulle bianco punteggiata dai led.
Il logo volava alto. Lettere di sottili neon rossi.
Il sistema espositivo digitale e quattro stampanti 3d trasformavano le immagini in gioielli dorati da regalare al pubblico accalcato.
La vecchia receptionist dai paramenti turchesi seduta al centro sotto il faro pulsante riceveva uno ad uno gli uomini e le donne in fila.
Una figura corpulenta, coperta da un velo rosso, con un cenno della mano, ruotando solo leggermente il polso, ammetteva il primo al cospetto della vecchia e subito dopo con un gesto più deciso fermava quello che seguiva.
La signora in abiti di scena turchesi parlottava due minuti con ogni astante, sembrava fissare appuntamenti, scriveva un appunto, compilava una cedola che staccava e consegnava ai suoi interlocutori trattenendone la ricevuta. La dea bendata distribuiva i numeri della lotteria.
Impossibile non accorgersi della fila lunga fino ai tornelli d’ingresso che rallentava tutto il giorno l’accesso alla fiera.
Ho scattato cinquanta, cento foto col mio vecchio iphone imballato ma una volta arrivato a casa c’erano macchie e basta.
Sensori di disturbo? Troppi spritz?!
Che stand fantastico però!

Morale:
Uno stand fantastico può diventare realtà.
Dovrebbe essere la realtà di tutte le nostre presenze in qualsiasi fiera
Sia che creiamo gioielli, scarpe, arredi, abiti o qualsiasi altra cosa.
Perchè la personalità delle tua azienda non ha la forma di una scatoletta!

ESAGERARE FUNZIONA!

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L’idea di esagerare funziona!
Dal punto di vista estetico intendo.
Magari porta a qualche buon risultato anche in altri campi ma non è sempre detto, spesso immagino faccia danni.
Se faccio l’elogio smodato del “troppo” è perché ho avuto modo tante volte di raggiungere risultati insperati esagerando.
Esagerare funziona così bene che come azione creativa dovrebbe essere codificata e insegnata a scuola.

Se progetto una collezione di gioielli farò attenzione a mille cose, identità, indossabilità, peso, target e tante ancora, ma per una sfilata, come quella della foto, mirerò solo ad apparire!
Dovrebbe diventare una regoletta facile, facile a disposizione di chiunque volesse provare a creare qualcosa di originale.
Proviamo a inventarcela!
Ripetilo all’infinito!
Ecco un’altra regola che funziona sempre, ripetere, ripetere, ripetere, esagerando ovviamente!
Se in una vetrina qualunque mettessimo tre oggeti uguali avremo solo perso l’occasione di mostrarne tre di diversi. Ma se, nella stessa vetrina, ne mettessimo 36 in fila, tutti uguali, o magari introducendo un’eccezione, una distonia, ecco allora creata una scena, un evento, un’attrazione. Se apriamo tre finestre uguali su di una grande parete in genere non succede niente, ma se ne disegniamo cento, tutte uguali,  le nostre chance creative aumentano a dismisura.
Altra regoletta. Creiamo ambienti alti, altissimi o bassi bassissimi!
Immaginiamo di progettare uno spazio commerciale avendo a disposizione un numero preciso di metricubi e la possibilità di scegliere se impilarli in un ambiente stretto e altissimo o spargerli in uno molto largo e bassissimo. Tutte e due le opzioni mi attirano e sono certo attireranno anche il pubblico che sarà attratto da quegli spazi esagerati. Eviteremo come la peste la minestrina riscaldata della stanzetta dall’altezza giusta, giusta e larga quanto basta.
Se invece ci toccasse impaginare un depliant, inventare il packaging di un prodotto o disegnare una seggiola, allora credo sarebbe meglio esagerare ancora!
Perché esagerare funziona!

Con qualche accortezza naturalmente, sapendo che esistono gli standard e che quando li si ignora bisogna pagar pegno, tenendo conto dei mille obblighi a cui siamo sempre soggetti.
Alla fine, tenuto conto di tutto, esageriamo!
Perché, datemi retta, esagerare funziona!

Dieci idee per progettare uno stand interessante

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Non sono i dieci comandamenti, solo dieci pensierini elementari, idee che magari potrebbero essere utili per progettare uno stand, un negozio, uno spazio commerciale qualsiasi o qualsiasi altra cosa.
1 – Se avete giá da subito chiara in testa l’idea di come sará lo stand sappiate che forse é un’idea sbagliata. É molto raro che le idee buone vengano subito.
2 – Se nessuno ha mai fatto uno stand anche solo lontanamente simile a quello che volete fare è probabile che ci sia qualche buon motivo. Altrimenti avete avuto un colpo di genio. Capita!
3 – Senza un’idea forte non c’è il progetto di uno stand che valga la pena costruire.
4 – Bisogna esagerare arrivando al limite dell’usabilitá. “Troppo” è una parola magica. Troppo lungo, troppo alto, troppo basso, troppo buio, troppo chiaro, troppo aperto, troppo chiuso, troppo stretto, troppo complicato, troppo semplice, e così via. Una buona idea per il progetto di uno stand ha sempre qualcosa di “Troppo”. Meglio uno stand sbagliato che uno stand brutto!
5 – É importante fare la lista delle cose che lo stand dovrá contenere, individuare il numero, la tipologia e le dimensioni approssimative delle aree funzionali. Magari poi si potrá rinunciare a qualcosa a vantaggio di qualcos’altro ma meglio esserne consapevoli.
6 – Uno stand deve comunicare con un’immagine semplice e precisa l’identitá del marchio.
7 – Copiare uno stand bellissimo è molto meglio che farne uno brutto tutto da sè. Però, come a scuola, è indispensabile che nessuno se ne accorga! Copiare un’idea sta alla base di qualsiasi buon progetto… poi bisogna farla propria, trasformarla, reinventarla…
8 – Niente è più brutto, sbagliato e inutile di uno stand banale.
9 – Come si diceva nel progettare uno stand é assolutamente indispensabile esagerare qui e lá ma tenendo sempre ben presente che saranno esseri umani con misure piuttosto precise a muoversi dentro e fuori. Un po’ di ergonomia non fa male!
10 – La solita ultima regola, infischiarsene delle regole! Perchè se bastassero le regole ci sarebbero solo stand bellissimi e invece…
Se volete darmi una mano ad allungare questa lista di suggerimenti scrivetemi!
Aspetto le vostre idee!

 

 

 

10 pezzi d’autore

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Mentre le ultimissime novitá del Salone del Mobile si sfuocano e cercano un posto nella memoria mi viene ancora voglia di raccontare 10 pezzi d’autore che hanno fatto la storia del del design internazionale e che in tempi diversi mi é piaciuto usare per allestire spazi dove lavorare e vivere.
1 – DOGE – Grande tavolo dal piano di cristallo e dalla struttura di acciaio da ammirare attraverso la lastra trasparente. Dettagli curati in modo maniacale, viti brunite, distanziatori in ottone.
2 – CAMPO D’ORO – Il tavolo trasformista disegnato da Paolo Pallucco e Mireille Rivier per De Padova. Molto più di un tavolo, l’ho messo nello show–room di Nanis a Miami per una sala riunioni che si trasforma.
3 – TOIO – Una bella lampada del 1962 fatta col fanale di un’automobile e una canna da pesca. L’idea non poteva che essere di Achille Castiglioni il precursore di tutti i “recuperanti”.
4 – ZIBALDONE – Libreria con vetrate scorrevoli a saliscendi. Disegnata nel 1976 da Carlo Scarpa è prodotta da Bernini. Un piccolo gioiello come ogni pezzo disegnato dal grande architetto veneziano.
5 – LE BAMBOLE – Il divano icona degli anni ’60 disegnato da Mario Bellini per B&B Italia – Celebre la campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani richiamato nel 2007 per promuovere la nuova edizione.
6 – MAGRITTA – La poltrona scultura di Sebastian Matta, per stupire e trasformare qualsiasi casa. Tanti anni fa stava all’ingresso del mio studio con quel picciolo malizioso!
7 – TRIPOLINA – Quando il design non ha un nome. Compare all’inizio del secolo alla Fiera di St. Louis. Prodotta in un’infinità di versioni, quella più elegante è di Citterio.
8 – CACTUS – Un’icona di Gufram, l’azienda che ha inventato i “multipli” – disegnato da Guido Drocco & Franco Mello nel 1972. Un altro oggetto di culto da infilare dappertutto!
9 – ZIGZAG – La sedia disegnata da Rietveld nel ’34 e rieditata nel ’73 da Cassina – In ciliegio e adesso anche in tantissimi colori. Un segno, una scultura, un mistero della statica.
10 – COMPONIBILI – Disegnati più di trent’anni fa da Anna Castelli Ferrieri i Componibili sono contenitori di plastica lucida ad elementi sovrapponibili a colonna. In versione rotonda e quadrata, coloratissimi ora anche in finitura silver. Spartani, semplici, indistruttibili e… belli, hanno arredato il mio primo bagno.
Ecco, solo oggetti, nulla di più… ma divertenti, fatti bene e con qualche bella idea dentro.
Alla prossima! Altri 10 pezzi d’autore da giocare per trasformare gli spazi!

Creatività e semplicità

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Creatività e semplicità sono valori assoluti!
Non esiste nessuna motivazione per presentare in modo complesso cose che possono essere semplici.
Invece esistono un sacco di persone che adorano la complessità. A tutti noi verranno in mente politici, insegnanti e , non ultimi tanti uomini d’impresa  e addirittura giornalisti con un posto d’onore all’UCAS – Ufficio Complicazione Affari Semplici – persone che si sentono superiori fingendo di capire quello che gli altri non sono in grado di capire. Gente che ha bisogno della complessità per mantenere il suo ruolo.
Intendiamoci, la semplicità non è facile. Esistono cose, concetti, attività veramente complesse e per riuscire a spiegarle con semplicità bisogna davvero conoscerle molto bene. Scrivere in modo semplice, ad esempio, è molto più difficile che infilare uno dietro l’altro una serie di paroloni incomprensibili per fingere di essere molto colti.
Spesso è difficile risolvere alcuni problemi o pervenire a risultati creativi soddisfacenti usando semplicemente la logica. A volte è indispensabile fare uno scarto, abbandonare la linea retta caratteristica del pensiero logico ed usare il pensiero laterale. Uscire da schemi prefissati ed allargare la propria visuale.
Precursore, studioso e divulgatore con tanti saggi intorno al concetto di “semplicità” e creatore della definizione “pensiero laterale” è Edward de Bono, il più importante ricercatore sul pensiero creativo.
Dopo la pubblicazione nel 1985 di “Sei cappelli per pensare” nel 1991 De Bono ha fondato la De Bono Thinking Systems, una vera e propria scuola per insegnare a pensare.
Creatività e semplicità, a saperli usare senza banalizzarne il significato, sono strumenti insuperabili di crescita individuale e aiutano più di ogni altra cosa  a far crescere la produttività e ad affermare l’immagine di aziende grandi e piccole.
Alla fine mettiamo in gioco la nostra voglia di creatività e semplicità con un esercizio semplice che necessita di un po’ di pensiero laterale.
Lo schema rigido a 9 punti dell’immagine qui sopra sta alla base di uno dei giochi più utilizzati per esemplificare la potenza del pensiero laterale e la necessità di porsi davanti alle questioni con la mente sgombra da reticoli preconfezionati. Se l’avete già fatto vi farà sorridere e vi servirà solo da promemoria, altrimenti prendete un foglio di carta disegnate i nove punti e provate ad unirli con 4 linee rette continue, senza mai staccare la penna dal foglio.
E’ facile… basta uscire dagli schemi.

 

La buona creatività

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La creativitá spesso è difficile. La buona creativitá è fatta di azzardi, di errori, tante volte è figlia di un numero infinito di insuccessi!
Quando le situazioni diventano difficili e siamo ormai oltre il baratro c’é solo un ultimo guizzo di creativitá che ci può salvare. L’ansia che ci prende quando ci infiliamo in imprese di cui non abbiamo calcolato le difficoltá, quell’ansia lí è buona, ci spinge a ragionare al di fuori degli schemi, a mettere in campo idee che non osavamo nemmeno prendere in considerazione, che ritenevamo ridicole e invece qualche volta queste idee balzane ci tirano fuori dai guai e ci fanno fare quelle cose di cui poi saremo orgogliosi.
Quando la creativitá fallisce sono pochi i meschini che le gettano la croce addosso. È talmente ammirevole lo sforzo estremo di cercare significati inimmaginabili, di intervenire nei territori ai margini della razionalitá che il fallimento può essere visto solo come la fine di un tentativo che dà spazio ad un’altra prova.
Un amico architetto diceva – bisogna avere il coraggio di mostrare le chiappe! – intendeva dire che ad un certo punto, quando magari il progetto è in una impasse, bisogna saper essere trasgressivi, tirar fuori quello che abbiamo dentro, mostrarsi nudi e accettarne le conseguenze, le critiche costruttive e quelle malevole.
Senza determinazione e spregiudicatezza difficilmente riusciremo a trovare soluzioni alternative ai soliti facili sentieri battuti dai gitanti della domenica. 
Sentieri affollati da chi ha imparato a memoria la lezioncina. Si fa così e cosà! Precisini, elegantini con i colorini!
Se invece si prova a fare della buona creatività è possibile sbagliare.  La ragione non si farebbe mai carico dei compiti che si accolla la creativitá: stupire, inventare, emozionare, salvare. É normale che qualche volta non ci riesca. La buona creativitá sbaglia ancora piú spesso perchè si avventura  sulle creste, si prende rischi mortali. Quando però riesce che paesaggi!
La buona creativitá non è un gioco facile, a volte sembra non aver nessuna voglia di venir fuori. Allora é necessario lo stimolo del rischio, mettersi nelle condizioni estreme di non poterne farne a meno, tagliarsi i ponti alle spalle, lasciar crescere l’ansia, incrociare le dita e lavorare sodo!

Le linguette delle lattine parlano.

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Le linguette delle lattine le ho viste ieri in fiera a Milano al Mipel. Dopo aver incontrato tanti splendidi imprenditori, creatori dell’Italian Style mi sono imbattuto in alcuni oggetti dal design curioso che raccontavano una storia magica. Allo stand della DALALEO, c’erano borse di tante forme, gioielli e accessori moda tutti realizzati con le linguette in alluminio delle lattine. Oggetti bellissimi! Che non hanno più nulla a che fare col materiale grezzo di partenza, che non ricordano certo la spazzatura! Le linguette delle lattine parlano della storia di Luisa Leonardi Scomazzoni che tutti conoscono come la Leo. Una storia fatta di voglia di esprimersi, di viaggiare, di conoscere, di voglia di cambiare. Una storia fortunata fatta di spirito imprenditoriale, generosità e intelligenza. La Leo racconta sul sito della sua azienda del percorso che l’ha portata a fondare DALALEO. Da neofita del mondo del design e della moda alla realizzazione di collezioni che trasformano in un meraviglioso scambio solidale l’artigianato povero del nord-est del Brasile. Povero per materiali ma ricchissimo di manualità e sapienza costruttiva. Una storia così bella che non mi sento di riassumere oltre, prendendo in mano gli oggetti pensati dalla Leo si sente che le linguette delle lattine parlano, andate a leggerla direttamente sul suo sito. 

www.dalaleo.it

 

La grande bruttezza

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La grande bruttezza è una questione che mi sta sullo stomaco fin dall’adolescenza, un sacco d’anni fa, ma sono certo che prima o poi qualcuno la risolverà. 
Le aziende tengono molto alla propria immagine. La curano e la pubblicizzano.
A tutti sembra normale che un’azienda mostri la sua faccia migliore, che curi la qualità e la bellezza dei suoi prodotti.
Infatti quasi tutte le aziende si affidano a specialisti della comunicazione e della creatività.
Nelle nostre città invece sembra che la bellezza sia una questione da circoli culturali, da musei, da centri estetici.
L’urbanistica e l’edilizia sono dirette da grigi burocrati. I sindaci, gli unici veri responsabili, fanno spallucce, in genere non hanno alcuna competenza. Del resto ci sono ben più importanti questioni. La grande bruttezza impera ovunque. Vengono ignorate le regole elementari di qualsiasi composizione esteticamente rilevante.
Concetti semplici come ripetizione, ritmo, allineamento, simmetria, regola, eccezione, centralità, vuoto, pieno, eccetera, eccetera, sembrano solo parole da cruciverba.
Le periferie  e le campagne vengono edificate disordinatamente e crescono come le cacche sui marciapiedi mentre i centri storici asfissiati ammuffiscono.
Le amministrazioni cercano di accontentare tutti scontentando i più e lasciando sul territorio puzzle da ubriachi.
Ho una proposta per i futuri sindaci, quelli che eleggeremo alla fine di maggio. Proponete ai vostri cittadini di eleggere un super-mega-consulente esperto di questioni estetiche, uno che sappia distinguere e spiegare cos’è bello e cos’è brutto. Delegategli per legge ogni decisione in merito, soprattutto per quel che concerne le qualità estetiche delle costruzioni.  Ogni sua parola sarà legge inoppugnabile. Fissate il suo mandato in un trentennio e il suo onorario in una cifra esorbitante. Sappia, il signor art director mega galattico, che in caso di errore plateale subirà una punizione ancor più plateale.
Se si lascerà corrompere sarà costretto a vivere per sempre la grande bruttezza.
Ok! Lo so che da un punto di vista del diritto ci sarebbe da ridire ma  per favore qualcuno faccia qualcosa!
La bruttezza è una piaga che contamina tutto, la grande bruttezza di tante parti delle nostre città è un insulto scaraventato in faccia a tutti.

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