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IMPERFEZIONI PLASTICHE

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Il fascino dell’imperfezione non è per tutti i materiali, c’è materia e materia.
Diamo per scontato che siano i materiali naturali come i legni, le pietre, i metalli e i tessuti a mostrare il loro lato più vitale nelle imperfezioni.
Certo i nodi del legno, le sue fessurazioni, le scalfiture e i cambi di colore dovuti all’uso e al tempo lo rendono ancora più piacevole e vivo. Un oggetto di legno racconta la sua storia e ha i segni dell’uso che se ne è fatto. Molto spesso è molto più bello vecchio che nuovo.
Le pietre sono migliaia di anni che raccontano la nostra voglia di bellezza. Sculture, cattedrali, gioielli col tempo e con l’uso diventano vivi. Portano i nostri segni addosso e noi possiamo andare a cercare il ricordo di chi siamo stati nelle crepe, nelle scheggiature, nelle superfici consumate.
Vi sono invece materiali di sintesi verso i quali spesso non sappiamo come porci, non sappiamo che valore dare ai segni e alle imperfezioni dovute alle lavorazioni, all’usura, al trascorrere del tempo.

Le plastiche sono ovviamente al centro di questa riflessione.
Per plastica intendo un mare di materiali anche molto diversi tra loro che gli esperti preferiscono catalogare come materiali polimerici.
Se ne avete voglia fatevi una gugglata e vi si aprirà un mondo!
A me interessa quanto siamo disposti ad accettare i segni dell’usura delle materie plastiche, le imperfezioni della loro costruzione.

Partiamo dal fatto che un prodotto realizzato, poniamo caso, con un processo di stampa rotazionale del polietilene, necessita spesso di una finitura artigianale per mostrare superfici “perfette”.
Quindi non è possibile raccogliere  tutti gli oggetti o gli arredi realizzati in plastica sotto lo stesso tetto.
Ci sono grandi idee realizzate su splendidi progetti, con grande cura e altre invece di nessun valore e davvero dozzinali.

Chiaramente soltanto le prime meritano di star qui a discutere delle loro imperfezioni…
Spesso sono oggetti così solidi che dureranno in eterno, di sicuro più di noi… e già questo ce li fa amare e odiare allo stesso tempo.
Sta passando adesso la prima generazione che lascerà in eredità a figli e nipoti poltroncine in polietilene e contenitori in ABS, di cui sono fatti per esempio i mattoncini Lego.
Credo che anche gli oggetti in plastica possano raccontare storie di traslochi e cambi di destinazione d’uso con i segni lasciati dal tempo e dall’incuria.

Non è possibile pensare che oggetti che fanno parte della nostra cultura, magari progettati da designer di fama internazionale come Joe Colombo, Achille Castiglioni o Gae Aulenti, siano da buttare via perchè macchie, abrasioni e striature ne hanno cambiato l’aspetto.
Vorrei capire, al di là del modernariato, oltre il valore storico di questi oggetti, che emozioni sono ancora in grado di suscitare i vecchi oggetti in plastica che abbiamo in casa.
Saremo tra i primi ad avere consapevolezza di questa mutazione generazionale.

Solo recentemente abbiamo tolto alla plastica il marchio infamante di simbolo del consumismo per scoprire la sua vocazione ecologica.
Ieri era uno dei materiali più inquinanti e oggi invece salva le foreste sostituendo il legno in molti usi.
Evviva la plastica!

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