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ESAGERARE FUNZIONA!

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L’idea di esagerare funziona!
Dal punto di vista estetico intendo.
Magari porta a qualche buon risultato anche in altri campi ma non è sempre detto, spesso immagino faccia danni.
Se faccio l’elogio smodato del “troppo” è perché ho avuto modo tante volte di raggiungere risultati insperati esagerando.
Esagerare funziona così bene che come azione creativa dovrebbe essere codificata e insegnata a scuola.

Se progetto una collezione di gioielli farò attenzione a mille cose, identità, indossabilità, peso, target e tante ancora, ma per una sfilata, come quella della foto, mirerò solo ad apparire!
Dovrebbe diventare una regoletta facile, facile a disposizione di chiunque volesse provare a creare qualcosa di originale.
Proviamo a inventarcela!
Ripetilo all’infinito!
Ecco un’altra regola che funziona sempre, ripetere, ripetere, ripetere, esagerando ovviamente!
Se in una vetrina qualunque mettessimo tre oggeti uguali avremo solo perso l’occasione di mostrarne tre di diversi. Ma se, nella stessa vetrina, ne mettessimo 36 in fila, tutti uguali, o magari introducendo un’eccezione, una distonia, ecco allora creata una scena, un evento, un’attrazione. Se apriamo tre finestre uguali su di una grande parete in genere non succede niente, ma se ne disegniamo cento, tutte uguali,  le nostre chance creative aumentano a dismisura.
Altra regoletta. Creiamo ambienti alti, altissimi o bassi bassissimi!
Immaginiamo di progettare uno spazio commerciale avendo a disposizione un numero preciso di metricubi e la possibilità di scegliere se impilarli in un ambiente stretto e altissimo o spargerli in uno molto largo e bassissimo. Tutte e due le opzioni mi attirano e sono certo attireranno anche il pubblico che sarà attratto da quegli spazi esagerati. Eviteremo come la peste la minestrina riscaldata della stanzetta dall’altezza giusta, giusta e larga quanto basta.
Se invece ci toccasse impaginare un depliant, inventare il packaging di un prodotto o disegnare una seggiola, allora credo sarebbe meglio esagerare ancora!
Perché esagerare funziona!

Con qualche accortezza naturalmente, sapendo che esistono gli standard e che quando li si ignora bisogna pagar pegno, tenendo conto dei mille obblighi a cui siamo sempre soggetti.
Alla fine, tenuto conto di tutto, esageriamo!
Perché, datemi retta, esagerare funziona!

Dieci idee per progettare uno stand interessante

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Non sono i dieci comandamenti, solo dieci pensierini elementari, idee che magari potrebbero essere utili per progettare uno stand, un negozio, uno spazio commerciale qualsiasi o qualsiasi altra cosa.
1 – Se avete giá da subito chiara in testa l’idea di come sará lo stand sappiate che forse é un’idea sbagliata. É molto raro che le idee buone vengano subito.
2 – Se nessuno ha mai fatto uno stand anche solo lontanamente simile a quello che volete fare è probabile che ci sia qualche buon motivo. Altrimenti avete avuto un colpo di genio. Capita!
3 – Senza un’idea forte non c’è il progetto di uno stand che valga la pena costruire.
4 – Bisogna esagerare arrivando al limite dell’usabilitá. “Troppo” è una parola magica. Troppo lungo, troppo alto, troppo basso, troppo buio, troppo chiaro, troppo aperto, troppo chiuso, troppo stretto, troppo complicato, troppo semplice, e così via. Una buona idea per il progetto di uno stand ha sempre qualcosa di “Troppo”. Meglio uno stand sbagliato che uno stand brutto!
5 – É importante fare la lista delle cose che lo stand dovrá contenere, individuare il numero, la tipologia e le dimensioni approssimative delle aree funzionali. Magari poi si potrá rinunciare a qualcosa a vantaggio di qualcos’altro ma meglio esserne consapevoli.
6 – Uno stand deve comunicare con un’immagine semplice e precisa l’identitá del marchio.
7 – Copiare uno stand bellissimo è molto meglio che farne uno brutto tutto da sè. Però, come a scuola, è indispensabile che nessuno se ne accorga! Copiare un’idea sta alla base di qualsiasi buon progetto… poi bisogna farla propria, trasformarla, reinventarla…
8 – Niente è più brutto, sbagliato e inutile di uno stand banale.
9 – Come si diceva nel progettare uno stand é assolutamente indispensabile esagerare qui e lá ma tenendo sempre ben presente che saranno esseri umani con misure piuttosto precise a muoversi dentro e fuori. Un po’ di ergonomia non fa male!
10 – La solita ultima regola, infischiarsene delle regole! Perchè se bastassero le regole ci sarebbero solo stand bellissimi e invece…
Se volete darmi una mano ad allungare questa lista di suggerimenti scrivetemi!
Aspetto le vostre idee!

 

 

 

10 pezzi d’autore

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Mentre le ultimissime novitá del Salone del Mobile si sfuocano e cercano un posto nella memoria mi viene ancora voglia di raccontare 10 pezzi d’autore che hanno fatto la storia del del design internazionale e che in tempi diversi mi é piaciuto usare per allestire spazi dove lavorare e vivere.
1 – DOGE – Grande tavolo dal piano di cristallo e dalla struttura di acciaio da ammirare attraverso la lastra trasparente. Dettagli curati in modo maniacale, viti brunite, distanziatori in ottone.
2 – CAMPO D’ORO – Il tavolo trasformista disegnato da Paolo Pallucco e Mireille Rivier per De Padova. Molto più di un tavolo, l’ho messo nello show–room di Nanis a Miami per una sala riunioni che si trasforma.
3 – TOIO – Una bella lampada del 1962 fatta col fanale di un’automobile e una canna da pesca. L’idea non poteva che essere di Achille Castiglioni il precursore di tutti i “recuperanti”.
4 – ZIBALDONE – Libreria con vetrate scorrevoli a saliscendi. Disegnata nel 1976 da Carlo Scarpa è prodotta da Bernini. Un piccolo gioiello come ogni pezzo disegnato dal grande architetto veneziano.
5 – LE BAMBOLE – Il divano icona degli anni ’60 disegnato da Mario Bellini per B&B Italia – Celebre la campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani richiamato nel 2007 per promuovere la nuova edizione.
6 – MAGRITTA – La poltrona scultura di Sebastian Matta, per stupire e trasformare qualsiasi casa. Tanti anni fa stava all’ingresso del mio studio con quel picciolo malizioso!
7 – TRIPOLINA – Quando il design non ha un nome. Compare all’inizio del secolo alla Fiera di St. Louis. Prodotta in un’infinità di versioni, quella più elegante è di Citterio.
8 – CACTUS – Un’icona di Gufram, l’azienda che ha inventato i “multipli” – disegnato da Guido Drocco & Franco Mello nel 1972. Un altro oggetto di culto da infilare dappertutto!
9 – ZIGZAG – La sedia disegnata da Rietveld nel ’34 e rieditata nel ’73 da Cassina – In ciliegio e adesso anche in tantissimi colori. Un segno, una scultura, un mistero della statica.
10 – COMPONIBILI – Disegnati più di trent’anni fa da Anna Castelli Ferrieri i Componibili sono contenitori di plastica lucida ad elementi sovrapponibili a colonna. In versione rotonda e quadrata, coloratissimi ora anche in finitura silver. Spartani, semplici, indistruttibili e… belli, hanno arredato il mio primo bagno.
Ecco, solo oggetti, nulla di più… ma divertenti, fatti bene e con qualche bella idea dentro.
Alla prossima! Altri 10 pezzi d’autore da giocare per trasformare gli spazi!

Perché ci affezioniamo alle cose?

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Perché ci affezioniamo alle cose?
Il primo pezzo di design che mi sono comprato trent’anni fa é il tavolo su cui sto scrivendo. Grande, quadrato, nero, disegnato da Carlo Scarpa per Simon, è uno degli oggetti a cui sono rimasto ancora un po’ legato. Certe cose ci appagano esteticamente, ci accomunano a persone che stimiamo, danno un senso di appartenenza. Ricordano un pezzetto di vita, un momento particolare. Niente psicanalisi a buon mercato, mi piacciono le linee semplici su cui lasciar scorrere le dita e le scelte progettuali controcorrente. Le superfici liscie come i sassi del fiume.  Cose che per lo più mi sono state regalate. L’Arco di Castiglioni, con qualche botta e un filo svirgolo per i tanti traslochi e certo meno lucido di quelli che brillano nelle vetrine. Gli Imbuti di Caccia Dominioni, canne battute dal vento che ho fatto aggiustare un sacco di volte, eppure restano lampade da terra semplici ed eleganti.
Perché ci affezioniamo alle cose e continuiamo a cercarne di nuove? Immaginiamo tavoli dalle forme strane che si allungano e si possono smontare, invenzioni già realizzate chissà quante volte. Col passare del tempo, invecchiando, diventano oggetti che regalo volentieri, legami che diventano solo ricordi, slegati dalla necessitá del possesso. Lampade, poltrone, sedie, un tavolino ovale tutto d’oro con lunghe zampe di gallina,  oggetti con un posto preciso nella storia del design che hanno appagato a lungo la mia voglia di bellezza e che adesso, con uno striscio qui e un’ammaccatura lá, mi vien voglia di regalare ai miei figli.
Perché ci affezioniamo alle cose? Forse solo perchè certi oggetti ci assomigliano un po!

MOBILI IMMOBILI

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Non c’è niente di piú immobile dei mobili.
Gli arredi una volta messi in casa per lo piú restano lì immobili fino al prossimo trasloco.
Di gente come mia nonna che spostava tutto almeno una volta al mese non ce n’è tanta. Anche perchè non è facilissimo. I più non hanno il carisma di mia nonna che sapeva imporsi senza lasciare scampo e pochissimi hanno tavoli e armadi dotati di ruote. De Padova trent’anni fa aveva rieditato i mobili degli Shakers i puritani del Maine ormai famosi quasi soltanto per aver messo le ruote alle gambe dei tavoli.
E allora perchè non sfatare il mito? Perchè non far muovere i mobili? Esagerare, metterci motorini elettrici e sensori come ai mangiapolvere automatici e ai rasaerba in modo da trovare tutto in un altro posto la sera rientrando a casa. Perchè non far oscillare le librerie? Perchè solo il carrello portavivande può farsi un giro ogni tanto? Poi ci sono lampade e luci in movimento, tende oscillanti e tappeti volanti. C’è stato un periodo in cui mettevo le ruote quasi a tutto come gli Shakers. La soddisfazione maggiore me l’ha data un tavolino basso rotondo con tre grandi ruote che i miei figli facevano girare come una trottola. Belle anche le candele disegnate da Ingo Maurer che oscillano ancora la notte appese in giardino.
Designer di arredi e complementi raramente pensiamo al movimento.
Spostare i mobili di casa, degli uffici, dei negozi, dei ristoranti, delle sale riunioni e ricombinarli in modi sorprendenti è di sicuro un gioco divertente ma molto spesso è la soluzione a piccoli e grandi problemi di spazio, di disposizioni che in un modo possono esaltare la funzionalità di certi pezzi e in un altro ne mettono in evidenza la presenza scenica o più prosaicamente ci fanno guadagnare un po’ di spazio.
E allora largo ai mobili che si trasformano, si allungano, si piegano e si scompongono, si illuminano, ondeggiano, ruotano, si avvitano e si capovolgono. Divani che si spogliano e che si frantumano per ricomporsi in altre forme e altri colori. Che bello il tavolo Campo D’oro di Paolo Pallucco e Mireille Rivier per De Padova, un trapezio allungatissimo che diventa un quadrato o mille forme spezzate unite da cerniere per altre infinite trasformazioni.
Giochiamo a spostare i mobili, mettiamoli in relazioni diverse, mostriamone aspetti prima nascosti, faciamoli ondeggiare, cambiamo il mondo! Almeno quello piccolo in cui viviamo ogni giorno.
Basta con i mobili immobili! Mandatemi immagini di mobili in movimento!

Ci vediamo a Milano la settimana prossima al Salone del Mobile.
Meglio ancora al Fuorisalone! In giro per la città, dove tutto è in movimento!

See you

Le linguette delle lattine parlano.

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Le linguette delle lattine le ho viste ieri in fiera a Milano al Mipel. Dopo aver incontrato tanti splendidi imprenditori, creatori dell’Italian Style mi sono imbattuto in alcuni oggetti dal design curioso che raccontavano una storia magica. Allo stand della DALALEO, c’erano borse di tante forme, gioielli e accessori moda tutti realizzati con le linguette in alluminio delle lattine. Oggetti bellissimi! Che non hanno più nulla a che fare col materiale grezzo di partenza, che non ricordano certo la spazzatura! Le linguette delle lattine parlano della storia di Luisa Leonardi Scomazzoni che tutti conoscono come la Leo. Una storia fatta di voglia di esprimersi, di viaggiare, di conoscere, di voglia di cambiare. Una storia fortunata fatta di spirito imprenditoriale, generosità e intelligenza. La Leo racconta sul sito della sua azienda del percorso che l’ha portata a fondare DALALEO. Da neofita del mondo del design e della moda alla realizzazione di collezioni che trasformano in un meraviglioso scambio solidale l’artigianato povero del nord-est del Brasile. Povero per materiali ma ricchissimo di manualità e sapienza costruttiva. Una storia così bella che non mi sento di riassumere oltre, prendendo in mano gli oggetti pensati dalla Leo si sente che le linguette delle lattine parlano, andate a leggerla direttamente sul suo sito. 

www.dalaleo.it

 

A forma di cuore

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A San Valentino impazzano i cuori! Anelli a forma di cuore, cioccolatini, piatti, mutande, occhiali, divani, cuscini, lampade, tutto a forma di cuore, soprattutto tante boule dell’acqua calda.
Una forma che col cuore, quello vero, sembra averci proprio poco a che fare. Una forma che non si sa bene da dove venga così le ipotesi impazzano come i cuori. Molti ne accreditano la forma all’analogia con profili di parti anatomiche femminili al centro dell’eros come seni, fondoschiena e monte di venere. Altri dal seme di Silfio, una pianta ora estinta che pare avesse poteri anticoncezionali, e ancora da geroglifici egizi e da simboli tantrici, insomma ognuno può pensarla come vuole.
Di certo c’è solo che di oggetti a forma di cuore siamo invasi tutto il tempo dell’anno e a San Valentino ovviamente ancora di più. Cuori che tante imprese e tanti negozianti immaginano a forma di portafogli sperando che i sentimenti si trasformino in impulsi d’acquisto e i loro cuori in vetrina diventino il centro d’ attrazione di tanti animi teneri.
Purtroppo, se è verissimo che le emozioni hanno parecchio a che vedere con i nostri acquisti, non è altrettanto certo che questi oggetti a forma di cuore diano sempre il via alle emozioni giuste. Infatti di fronte a un cuscino cuoriforme c’è chi si scioglie in dolci languori e chi no. Fatte le debite proporzioni direi che i secondi, quelli che aborriscono i cuori, siano in maggioranza. Però quelli che li amano alla follia sono così determinati che da soli tengono in piedi un mercato. Nel dubbio chiedere a “cuoricina” tanto per citare una fanatica a caso.
E’ certamente vero che un gioiello o un cioccolatino a forma di cuore hanno un senso mentre un ombrello o delle ciabatte meno. Direi proprio che la tipologia del prodotto fa la differenza. Gli oggetti che hanno a che fare con la persona in senso fisico, con i sensi e la comunicazione, hanno più probabilità di altri, una volta prese le sembianze di un cuore, di avere un certo successo commerciale. Un’ultima riflessione, ci sono oggetti a forma di cuore proprio brutti mentre invece  ce ne sono alcuni che attraggono anche un pubblico che non ama particolarmente la forma. Perciò trastullandoci con questo simbolo consumato e abusato dovremmo provare ad innovare introducendo un pizzico d’ironia e di creatività. Magari togliendo un bel po’ di zucchero, quel che basta ad evitare la carie e le malattie del cuore!

Ettore Sottsass, la creatività

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In fiera a Milano all’HOMI non ho saputo resistere dal rubare quest’immagine di Ettore Sottsass. Un ricordo del grande architetto milanese e al tempo stesso una citazione che racchiude un mondo di cui in tanti, in modi diversi, facciamo parte. Lo spazio della creatività che si moltiplica, si specchia e rimando ad altro. Dallo scarabocchio che fissa l’idea di un’orecchino al disegno di un  tavolo, all’allestimento di uno spazio espositivo, fino alle poche righe di un racconto, alla scelta di una luce strana per uno scatto fotografico. E’ grazie all’esempio di creativi dallo spessore immenso  e  dalla poliedrica forza espressiva come quella di Ettore Sottsass che tanti come me provano tutti i giorni ad inventare ancora qualcosa.

E’ morto Piero Busnelli uno dei padri del design italiano.

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Sabato scorso è morto Piero Busnelli il fondatore di B&B Italia.

Rendendogli omaggio come a uno dei massimi interpreti del design italiano ne approfitto per esprimere ancora una volta quant’è importante il ruolo dell’imprenditore nello sviluppo e nella ricerca intorno al prodotto di “design”.
Piero Busnelli dal divano “coronado” del ’66 realizzato con Afra e Tobia Scarpa al successivo “lombrico” con Marco Zanuso e “le bambole” con Mario Bellini nel ‘ 72, ha accolto nella sua azienda tanti dei più prestigiosi designer italiani  o che sarebbero poi diventati italiani d’adozione.  Al fianco di Antonio Citterio, Patricia Urquiola,  Zaha Hadid,  Gaetano Pesce, Paolo Piva e tanti altri Pietro Busnelli ha lasciato un segno forte nella storia dell’arredo d’autore.
E’ un’esperienza fantastica quando incontro un imprenditore che si prende un po’ di tempo per ascoltarmi e mi racconta le sue idee. Quando mi offre il suo spazio e il suo tempo e si entusiasma e si diverte a dar vita a qualcosa di nuovo.
Certo Piero Busnelli era unico, ne fa un bello schizzo Lina Sotis in queste poche righe sul Corriere di parecchi anni fa in un articolo dal titolo illuminante “Pierino, l’ ultimo della classe e’ diventato miliardario”.
Quanti Pierini qui intorno a me ci mettono una passione infinita a far crescere la loro azienda, e mi accolgono, e raccontano e ascoltano…
L’immagine è tratta dalla home page di B&B Italia.
www.bebitalia.com

Una parola magica: NUOVO.

NUOVO_2NUOVO era una bellissima rivista di pubblicità stampata tra gli anni ’70’ e ’80. Giustamente l’editore aveva innalzato questa parola a totem, insegna di un intero settore. Nuovo è  un aggettivo che si appioppa a ogni oggetto di design e sicuramente una delle parole più usate nel marketing. Quando un’azienda passa di mano alle nuove generazioni spesso non si trova niente di meglio che aggiungere al vecchio nome questo aggettivo palingenico (che fa nascere di nuovo). Qualche volta ciò che viene bollato come nuovo, nel marketing, nel design, nella comunicazione televisiva, al cinema, nella moda e un po’ dappertutto di nuovo non ha proprio nulla. Ma c’è di peggio! Anche quando la creatività partorisce un’idea davvero innovativa non sempre questa viene usata bene e avvantaggia l’azienda che  ha speso tempo e soldi per darle vita. Spesso il NUOVO ha poco a che fare con l’identità aziendale, con il pubblico che ha fatto la fortuna di quell’azienda. E’ nuovo e tanto basta! Uno specchietto per le allodole. La magica novità non produce sempre gli agognati risultati sui fatturati. C’è da dire che questo effetto di abbagliamento, di ricerca compulsiva del nuovo design, del nuovo packaging, della nuova grafica, di una nuova idea è spesso appannaggio di aziende piccole e sprovvedute che accecate dal luccichio della novità si dimenticano di tenere ben saldo il timone sulla rotta prefissata  e segnata dalle stelle dei principi qualificanti della propria identità, dai suoi valori, dalle parole chiave che le danno significato. Non è facile definire l’ambito in cui sciogliere le briglie alla fantasia perchè il risultato alla fine esalti e valorizzi il proprio marchio. Meglio farsi aiutare da chi è abituato a gestire la propria creatività verso obiettivi precisi. Non sempre NUOVO è bello e utile.

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