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CREATIVITA’, TEMPI, COSTI E QUALITA’

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In questi tempi di crisi l’equilibrio tra tempi, costi e qualità del lavoro è un po’ andato a farsi friggere!
Anche il lavoro creativo non fa eccezione.
La parola “urgente” è entrata a far parte della top ten del vocabolario di chi produce qualsiasi cosa, anche creatività.
Ma è possibile mantenere qualità e costi accettabili al restringersi inesorabile dei tempi?!
Il “triangolo di Dempster” o “Project Triangle” o “Triplo Vincolo” che dir si voglia mette proprio in relazione tempi, costi e qualità o obiettivi per inquadrare il problema in una visione più ampia. All’inizio del progetto il committente dovrebbe definire l’ordine delle priorità. Dovrebbe porsi la domanda: cos’è più importante? Avere un depliant dalla grafica innovativa, curato in ogni dettaglio, stampato divinamente usando materiali inusuali, ai costi più bassi del mercato e alla velocità della luce non è possibile. E allora a  cosa posso o devo rinunciare? In genere si tende a soprassedere indicando soltanto la necessità dell’urgenza e dando per scontato che la qualità e i costi debbano essere i migliori.
E il lavoro creativo come si colloca nella morsa di questi tre vincoli d’acciaio?!
Credo che avere ben chiari i limiti del proprio lavoro faccia parte della preparazione e della sensibilità di un creativo che lavora per le imprese.
Un grafico, un designer, un copywriter o qualsiasi altra figura professionale che operi nel campo della comunicazione e del design al momento di accettare un incarico dovrebbe farsi un’idea del livello minimo di qualità a cui mira il committente e capire se i tempi e il budget messi a disposizione siano sufficienti ad ottenerla. Ovviamente lo stesso vale per il committente in modo diametralmente opposto. Il designer o il creativo di turno ha capito quello che voglio? Di che livello dovrà essere il suo lavoro, di quanto dovrà costare e in quanto tempo dovrà essere tutto finito?
Se ci si rende conto che i termini non sono chiari sarà bene aprire un confronto schietto in modo che alla fine tutto sia chiaro evitando spiacevoli equivoci.
Visto che è la fretta a farla da padrone sorge spontanea un’altra domanda: la creatività ci perde sempre ad essere compressa nei tempi a volte troppo stretti imposti dalla committenza? Fermo restando che i miracoli per definizione non avvengono di continuo, penso che una valutazione corretta dei tempi di realizzazione stia alla base di un buon lavoro. Poi certo c’è chi ha una percezione del tempo paralizzante e chi invece trova stimolante l’avvicinarsi della scadenza.
Credo però che non ci sia creatività senza scadenze, senza limiti. I paletti costituiti dalla definizione di tempi, costi e qualità segnano il territorio economico– temporale, indicano i percorsi ed aiutano a trovare lo striscione d’arrivo di un progetto. Senza limiti si potrebbe vagare all’infinito, senza risultati, alla ricerca della perfezione.
Ok?! Scappo che ho fretta!

ESAGERARE FUNZIONA!

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L’idea di esagerare funziona!
Dal punto di vista estetico intendo.
Magari porta a qualche buon risultato anche in altri campi ma non è sempre detto, spesso immagino faccia danni.
Se faccio l’elogio smodato del “troppo” è perché ho avuto modo tante volte di raggiungere risultati insperati esagerando.
Esagerare funziona così bene che come azione creativa dovrebbe essere codificata e insegnata a scuola.

Se progetto una collezione di gioielli farò attenzione a mille cose, identità, indossabilità, peso, target e tante ancora, ma per una sfilata, come quella della foto, mirerò solo ad apparire!
Dovrebbe diventare una regoletta facile, facile a disposizione di chiunque volesse provare a creare qualcosa di originale.
Proviamo a inventarcela!
Ripetilo all’infinito!
Ecco un’altra regola che funziona sempre, ripetere, ripetere, ripetere, esagerando ovviamente!
Se in una vetrina qualunque mettessimo tre oggeti uguali avremo solo perso l’occasione di mostrarne tre di diversi. Ma se, nella stessa vetrina, ne mettessimo 36 in fila, tutti uguali, o magari introducendo un’eccezione, una distonia, ecco allora creata una scena, un evento, un’attrazione. Se apriamo tre finestre uguali su di una grande parete in genere non succede niente, ma se ne disegniamo cento, tutte uguali,  le nostre chance creative aumentano a dismisura.
Altra regoletta. Creiamo ambienti alti, altissimi o bassi bassissimi!
Immaginiamo di progettare uno spazio commerciale avendo a disposizione un numero preciso di metricubi e la possibilità di scegliere se impilarli in un ambiente stretto e altissimo o spargerli in uno molto largo e bassissimo. Tutte e due le opzioni mi attirano e sono certo attireranno anche il pubblico che sarà attratto da quegli spazi esagerati. Eviteremo come la peste la minestrina riscaldata della stanzetta dall’altezza giusta, giusta e larga quanto basta.
Se invece ci toccasse impaginare un depliant, inventare il packaging di un prodotto o disegnare una seggiola, allora credo sarebbe meglio esagerare ancora!
Perché esagerare funziona!

Con qualche accortezza naturalmente, sapendo che esistono gli standard e che quando li si ignora bisogna pagar pegno, tenendo conto dei mille obblighi a cui siamo sempre soggetti.
Alla fine, tenuto conto di tutto, esageriamo!
Perché, datemi retta, esagerare funziona!

Creatività e semplicità

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Creatività e semplicità sono valori assoluti!
Non esiste nessuna motivazione per presentare in modo complesso cose che possono essere semplici.
Invece esistono un sacco di persone che adorano la complessità. A tutti noi verranno in mente politici, insegnanti e , non ultimi tanti uomini d’impresa  e addirittura giornalisti con un posto d’onore all’UCAS – Ufficio Complicazione Affari Semplici – persone che si sentono superiori fingendo di capire quello che gli altri non sono in grado di capire. Gente che ha bisogno della complessità per mantenere il suo ruolo.
Intendiamoci, la semplicità non è facile. Esistono cose, concetti, attività veramente complesse e per riuscire a spiegarle con semplicità bisogna davvero conoscerle molto bene. Scrivere in modo semplice, ad esempio, è molto più difficile che infilare uno dietro l’altro una serie di paroloni incomprensibili per fingere di essere molto colti.
Spesso è difficile risolvere alcuni problemi o pervenire a risultati creativi soddisfacenti usando semplicemente la logica. A volte è indispensabile fare uno scarto, abbandonare la linea retta caratteristica del pensiero logico ed usare il pensiero laterale. Uscire da schemi prefissati ed allargare la propria visuale.
Precursore, studioso e divulgatore con tanti saggi intorno al concetto di “semplicità” e creatore della definizione “pensiero laterale” è Edward de Bono, il più importante ricercatore sul pensiero creativo.
Dopo la pubblicazione nel 1985 di “Sei cappelli per pensare” nel 1991 De Bono ha fondato la De Bono Thinking Systems, una vera e propria scuola per insegnare a pensare.
Creatività e semplicità, a saperli usare senza banalizzarne il significato, sono strumenti insuperabili di crescita individuale e aiutano più di ogni altra cosa  a far crescere la produttività e ad affermare l’immagine di aziende grandi e piccole.
Alla fine mettiamo in gioco la nostra voglia di creatività e semplicità con un esercizio semplice che necessita di un po’ di pensiero laterale.
Lo schema rigido a 9 punti dell’immagine qui sopra sta alla base di uno dei giochi più utilizzati per esemplificare la potenza del pensiero laterale e la necessità di porsi davanti alle questioni con la mente sgombra da reticoli preconfezionati. Se l’avete già fatto vi farà sorridere e vi servirà solo da promemoria, altrimenti prendete un foglio di carta disegnate i nove punti e provate ad unirli con 4 linee rette continue, senza mai staccare la penna dal foglio.
E’ facile… basta uscire dagli schemi.

 

La buona creatività

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La creativitá spesso è difficile. La buona creativitá è fatta di azzardi, di errori, tante volte è figlia di un numero infinito di insuccessi!
Quando le situazioni diventano difficili e siamo ormai oltre il baratro c’é solo un ultimo guizzo di creativitá che ci può salvare. L’ansia che ci prende quando ci infiliamo in imprese di cui non abbiamo calcolato le difficoltá, quell’ansia lí è buona, ci spinge a ragionare al di fuori degli schemi, a mettere in campo idee che non osavamo nemmeno prendere in considerazione, che ritenevamo ridicole e invece qualche volta queste idee balzane ci tirano fuori dai guai e ci fanno fare quelle cose di cui poi saremo orgogliosi.
Quando la creativitá fallisce sono pochi i meschini che le gettano la croce addosso. È talmente ammirevole lo sforzo estremo di cercare significati inimmaginabili, di intervenire nei territori ai margini della razionalitá che il fallimento può essere visto solo come la fine di un tentativo che dà spazio ad un’altra prova.
Un amico architetto diceva – bisogna avere il coraggio di mostrare le chiappe! – intendeva dire che ad un certo punto, quando magari il progetto è in una impasse, bisogna saper essere trasgressivi, tirar fuori quello che abbiamo dentro, mostrarsi nudi e accettarne le conseguenze, le critiche costruttive e quelle malevole.
Senza determinazione e spregiudicatezza difficilmente riusciremo a trovare soluzioni alternative ai soliti facili sentieri battuti dai gitanti della domenica. 
Sentieri affollati da chi ha imparato a memoria la lezioncina. Si fa così e cosà! Precisini, elegantini con i colorini!
Se invece si prova a fare della buona creatività è possibile sbagliare.  La ragione non si farebbe mai carico dei compiti che si accolla la creativitá: stupire, inventare, emozionare, salvare. É normale che qualche volta non ci riesca. La buona creativitá sbaglia ancora piú spesso perchè si avventura  sulle creste, si prende rischi mortali. Quando però riesce che paesaggi!
La buona creativitá non è un gioco facile, a volte sembra non aver nessuna voglia di venir fuori. Allora é necessario lo stimolo del rischio, mettersi nelle condizioni estreme di non poterne farne a meno, tagliarsi i ponti alle spalle, lasciar crescere l’ansia, incrociare le dita e lavorare sodo!

Ettore Sottsass, la creatività

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In fiera a Milano all’HOMI non ho saputo resistere dal rubare quest’immagine di Ettore Sottsass. Un ricordo del grande architetto milanese e al tempo stesso una citazione che racchiude un mondo di cui in tanti, in modi diversi, facciamo parte. Lo spazio della creatività che si moltiplica, si specchia e rimando ad altro. Dallo scarabocchio che fissa l’idea di un’orecchino al disegno di un  tavolo, all’allestimento di uno spazio espositivo, fino alle poche righe di un racconto, alla scelta di una luce strana per uno scatto fotografico. E’ grazie all’esempio di creativi dallo spessore immenso  e  dalla poliedrica forza espressiva come quella di Ettore Sottsass che tanti come me provano tutti i giorni ad inventare ancora qualcosa.

Uno scarabocchio per pensare.

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Il tipo di disegno più utile è lo scarabocchio.
Quel modo così veloce di schizzare un’idea  che non si ha il tempo di aggiustare, cancellare, rifare.
La matita deve essere morbida da sporcare le mani ma va bene anche un pennarello, una biro. Purchè si abbia quel feeling perfetto col segno da tracciare fili leggeri come capelli che improvvisamente diventano segnacci grossi, macchie piene.
Scarabocchiare è un esercizio da coltivare prima con metodico rigore e poi riempiendo gli spazi di una telefonata, di una riunione pallosa, trasformando il nulla in idee magiche o semplicemente rilassando la mente con un milione di tratti ripetuti in sfumature infinite come sferruzzare centrini all’uncinetto. L’allenamento allo scarabocchio verrà buono quando meno te lo aspetti. Per capire la forma di un oggetto che abbiamo pensato solo a metà, per spiegare un’idea o comunicare un’emozione.
Ecco forse dove sarà difficile trovare mezzi digitali che diano le stesse sensazioni, la matita, la carta. I risultati no, ci sono già, tavolette magiche, sensori di pressione, pennelli digitali capaci di rendere qualsiasi effetto. Ma scarabocchiare sarà sempre quell’altra cosa, una matita 6b, un foglio di carta giallino magari già macchiato d’inchiostro viola e un’esercizio fisico del disegno paragonabile a una corsetta in montagna. Scarabocchio una curva poi un’altra che si discosta pochissimo, un tratteggio sottile e una segno veloce, lungo prima forte e poi sottile che quasi esce dal foglio.

Una parola magica: NUOVO.

NUOVO_2NUOVO era una bellissima rivista di pubblicità stampata tra gli anni ’70’ e ’80. Giustamente l’editore aveva innalzato questa parola a totem, insegna di un intero settore. Nuovo è  un aggettivo che si appioppa a ogni oggetto di design e sicuramente una delle parole più usate nel marketing. Quando un’azienda passa di mano alle nuove generazioni spesso non si trova niente di meglio che aggiungere al vecchio nome questo aggettivo palingenico (che fa nascere di nuovo). Qualche volta ciò che viene bollato come nuovo, nel marketing, nel design, nella comunicazione televisiva, al cinema, nella moda e un po’ dappertutto di nuovo non ha proprio nulla. Ma c’è di peggio! Anche quando la creatività partorisce un’idea davvero innovativa non sempre questa viene usata bene e avvantaggia l’azienda che  ha speso tempo e soldi per darle vita. Spesso il NUOVO ha poco a che fare con l’identità aziendale, con il pubblico che ha fatto la fortuna di quell’azienda. E’ nuovo e tanto basta! Uno specchietto per le allodole. La magica novità non produce sempre gli agognati risultati sui fatturati. C’è da dire che questo effetto di abbagliamento, di ricerca compulsiva del nuovo design, del nuovo packaging, della nuova grafica, di una nuova idea è spesso appannaggio di aziende piccole e sprovvedute che accecate dal luccichio della novità si dimenticano di tenere ben saldo il timone sulla rotta prefissata  e segnata dalle stelle dei principi qualificanti della propria identità, dai suoi valori, dalle parole chiave che le danno significato. Non è facile definire l’ambito in cui sciogliere le briglie alla fantasia perchè il risultato alla fine esalti e valorizzi il proprio marchio. Meglio farsi aiutare da chi è abituato a gestire la propria creatività verso obiettivi precisi. Non sempre NUOVO è bello e utile.

Colora i tuoi mobili vecchi

mobili_colorati_a_634Abbiamo tutti dei mobili vecchi, roba degli anni sessanta o magari di un paio di decenni prima, nulla a che vedere con l’antiquariato, oggetti strani con le maniglie in ottone, grandi specchiere e piani in cristallo. Magari stanno in garage o in soffitta da una vita, non sono proprio brutti ma non c’entrano nulla con l’arredamento che abbiamo ora. Allora perché non trasformarli con un violento restyling cromatico. E’ incredibile come una botta di colore cambi completamente il significato di un qualsiasi mobile riqualificandolo, da vecchiume a segno pop, da ammuffito ciarpame a chicca vintage. I nostri mobili vecchi colorati mantengono l’aura nostalgica del tempo ma rivivono con l’aggiunta di una spudorata grafica optical o flowers, a righe o a pois, o con una qualsiasi texture inventata con un timbro di spugna o con i rulli fatti apposta.
Anche solo una bella tinta uniforme, rosso, giallo, turchese, renderà il comodino della nonna un contenitore strachic da esibire come una scultura d’autore.
Il lavoro è semplicissimo e la parte più difficile sta tutta nel trovare il tempo e la voglia.
Tolti eventuali cassetti, smontate le antine e gli specchi, insomma disarticolato il nostro comò, la cassettiera, l’armadio o il comodino, per le sedie di solito è tutto molto più semplice, a quel punto daremo a tutte le parti una passata con la carta vetrata fine, una cosa leggera, servirà solo ad aumentare il grip della vernice. Poi, pulite le superfici con un panno, maschereremo con del nastro carta da pittori, le parti che vorremo preservare e a quel punto potremo cominciare a stendere il colore con dei piccoli rulli.
Per il colore consiglio le vernici acriliche, ce ne sono di buonissime, di tutti i colori, vanno diluite con pochissima acqua, non puzzano e asciugano relativamente in fretta.
Il segreto per ottenere risultati perfetti è proprio attendere che il colore steso sia asciutto prima di procedere con un’altra mano dello stesso colore o, a maggior ragione, con altri colori.
Attenzione, meglio acquistare il colore già fatto, i colorifici sono in grado di produrre qualsiasi colore scelto, nel caso invece vogliate fare gli artisti davvero, ricordatevi di comporne una quantità sufficiente a terminare l’opera, doverlo rifare della stessa tonalità potrebbe non risultare facilissimo.
Solo un po’ di pazienza e i vostri mobili vecchi colorati vi daranno grandi soddisfazioni!

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candele da mangiare

Candele così simili a torte e pasticcini che fanno un tutt’uno di colore, calore e calorie!

Creatività e strategie oblique

Tra oggi e domani vivremo le ore più calde dell’anno… meteorologicamente parlando!
Arriva Caronte l’anticiclone africano e io vi propongo di affrontare la calura mettendo mano a strategie oblique… usando tutta la vostra creatività.
In realtà voglio solo farvi conoscere una delle opere a mio parere più singolari di Brian Eno il musicista – non musicista come egli stesso si definisce, ingegnere del suono, artista visivo poliedrico dalla creatività esplosiva. Tutti noi ascoltiamo senza saperlo almeno una sua opera tutti i giorni. All’avvio  e alla chiusura i nostri computer, siano windows o mac, diffondono dei brevissimi jingles composti proprio da lui.
Ad un certo punto della sua vita artistica Brian Eno si dev’essere trovato a corto di idee, come alla fine di una strada senza uscita. Oppure nel bel mezzo di una composizione deve aver avuto la brutta sensazione di non saper più cosa fare, di trovare tutte le soluzioni creative che gli venivano in mente vecchie e poco attraenti. In questo frangente Brian Eno in collaborazione con l’artista Peter Schmidt  ha avuto la bella idea di creare un mazzo di carte, ciascuna recante un aforisma da cui trarre indicazioni, come da un moderno aruspico, sulla via da scegliere nel proseguire la propria attività artistica: le “strategie oblique”. Oblique Strategies, Over One Hundred Worthwhile Dilemmas –  nella prima edizione del 1975 erano 113 carte in un cofanetto nero. A queste successero altre due edizioni nel ’78 e nel ’79 e poi una quarta edizione in realtà mai messa in vendita. Fortunatamente oggi è possibile acquistare la quinta edizione senza farsi svenare da qualche collezionista.
Ecco se siamo in un impasse creativo o più semplicemente se abbiamo qualche dubbio sul come proseguire la giornata, se spaparanzarci all’ombra a leggere un bel libro o tuffarci in piscina, possiamo pescare a caso una carta e seguire le preziose indicazioni. La mossa giusta potrebbe essere non scegliere! Tuffarci in piscina all’ombra di un bel libro.

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