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Architetture della memoria

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Un’idea per questi giorni in cui magari siamo un po’ più liberi di andare in giro.
Dato il periodo, vi propongo la visita a due architetture della memoria, due cimiteri progettati da due architetti che considero miei maestri più di tanti altri che pure amo. Il primo è il cimitero di San Cataldo a Modena progettato da Aldo Rossi nel 1971. Nella poetica del grande architetto milanese si fondono razionalità e sogno. Le geometrie che delimitano il prato e il cielo con le loro differenze cromatiche danno la sensazione di essere in un quadro di De Chirico. Se gli edifici di Rossi sono tutti architetture della memoria il cimitero di San Cataldo congela il significato della morte e del ricordo.
Un secondo breve viaggio lo merita il cimitero di San Vito di Altivole in provincia di Treviso in cui la tomba della famiglia Brion, quella dei televisori Brionvega per intenderci, si pone proprio come un cimitero nel cimitero. Se il cimitero di Rossi è classicamente monumentale, è un grande cimitero urbano, quello progettato da Carlo Scarpa per i Brion è un luogo in cui la complessità organica della natura frantuma gli spazi e rende la visita più leggera, un giardino moderno riccamente disegnato. L’opera costruita tra il 1970 e il ’78 anno della morte di Scarpa ne accoglie anche la tomba che per volere testamentario si colloca tra la sua opera monumentale e il cimitero del paese.
Carlo Scarpa e Aldo Rossi, due modi lontanissimi di affermare lo stesso valore simbolico della vita. E’ inspiegabilmente raro oggi che i cimiteri assumano il valore di architetture della memoria, più facile che la morte sia assoggettata come la vita alla soluzione di problemi funzionali quale l’occupazione dello spazio.
Tanti brutti condomini per i vivi e per i morti!

 

Lo spazio della creatività

lo spazio della creatività
La creatività ha a che fare con le nostre capacità di percezione. Non c’è dubbio che intarsiare con bassorilievi la capocchia di uno spillo o dipingere murales lunghi chilometri comporti approcci diversi. Oltre le estremizzazioni, capita spesso nell’industrial design di dover fare i conti con la necessità di dare forma all’estremamente piccolo, meno di sovente a spazi enormi. Ma qual è il campo dimensionale della creatività artistica? Adottando i metodi di misura convenzionali in uso nell’ambito delle discipline scientifiche si può affermare che la visione umana dello spazio può misurare 46 ordini di grandezza dalla 25° potenza alla -16° potenza di 10. I campi disciplinari della conoscenza umana possono dunque essere definiti alle diverse scale di grandezza:

  • Lo spazio dell’astronomia: ordine di grandezza dei parsec, anni luce e kilometri
  • Lo spazio della geografia: ordine di grandezza dei kilometri e metri
  • Lo spazio della biologia: ordine di grandezza dei metri, centimetri e millimetri
  • Lo spazio dell’istologia: ordine di grandezza dei millimetri e micron
  • Lo spazio della citologia: ordine di grandezza dei micron
  • Lo spazio della biologia molecolare e della chimica: ordine di grandezza degli angstrom
  • Lo spazio della fisica delle particelle: ordine di grandezza degli angstrom, picometri e fermi

L’ordine di grandezza degli spazi investiti dalla disciplina dell’architettura, del design e delle arti figurative in genere si colloca nello spazio ristretto tra il campo della geografia e quello della biologia. Provando ad esercitare le tecniche creative, un po’ tutte, ci si accorgerà che tanto più ampia sarà la nostra libertà di agire creativamente quanto più lo spazio sarà immediatamente fruibile dai nostri sensi e quindi ergonomicamente a portata di mani e occhi, senza dover far uso di protesi come lenti, binocoli o microscopi, mezzi di trasporto, scale o altro. Qualche volta si pretende di applicare a scale infinitesimali le stesse tecniche creative che investono la progettazione di oggetti molto più grandi. Disegnare le lancette di un orologio analogico da polso permetterà una libertà creativa molto inferiore a quella esprimibile nel dar forma ad una sedia. Aumentando a dismisura gli spazi vedremo che, anche se per motivi opposti, ci troveremo di fronte allo stesso tipo di difficoltà. Per rendercene conto basterà osservare l’assenza di complessità (affollamento di segni) delle opere riconducibili alla landscape art. Se per esempio prendiamo una delle opere di Christo e Jeanne–Claude del 1983, le undici isole situate a Biscayne Bay, Greater Miami, circondate da migliaia di metri quadrati di polipropilene rosa, saremo abbagliati dalla forza del segno (guardandole da un velivolo) ma altrettanto dalla sua assoluta semplicità.

www.christojeanneclaude.net

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