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NON CAMBIARE NIENTE e VIVERE FELICI

Qualche ottimo motivo per non cambiare un bel niente e vivere felici.
Perchè struggersi l’anima, il cervello e il portafogli dinanzi all’ineluttabile evidenza che il Logo ha  cinque o sei pantone di troppo, il sito internet non è responsive, lo stand in fiera comunica supercazzole a gogo ma non il marchio,  l’ultimo post sui social risale a prima di Mark e i prodotti messi in catalogo cinque anni fa erano più o meno simili a quelli dei lustri precedenti così come il catalogo.

Ottimo!

Avere un sito responsive non serve a niente. Anche perché se i contenuti non sono aggiornati l’unica utilità potrebbe essere forse quella di fornire il numero di telefono… Mah! E il numero di telefono sarà aggiornato?

I social sono una gran perdita di tempo.  Se proprio proprio meglio il bar che uno spritz dà più soddisfazione di sicuro.

Il logo super colorato è strafigo. Se poi l’ha disegnato il famoso cugino è motivo in più per non cambiarlo per niente al mondo.

Lo stand in fiera è costato un botto, di metterci anche un logo fuori più visibile non se ne parla. Poi ci sono un sacco di biglietti da visita infilati fuori, sul cristallo della vetrina, che da soli fanno già comunicazione.

Fare prodotti nuovi? Da escludere, quelli vecchi si vendono ancora benissimo e poi… toccherebbe anche rifare il catalogo.

Non si capisce perché si dovrebbe rifare il catalogo visto che i prodotti sono sempre quelli, i clienti vecchi ce l’hanno già e non ci sono clienti nuovi che ne richiedano uno diverso.

Si fa per ridere ovviamente. Ci diamo tutti un gran da fare per migliorare, per crescere, anche se dietro al paradosso, all’ironia ogni tanto ci lambisce il pensiero di lasciare tutto com’è.

Certo non si tratta di cambiare per cambiare ma il design e la comunicazione sono da sempre i motori delle aziende. Molto prima di internet, molto prima del marketing…

Esporre senza emozionare

SALVE! PAROLE SPAZZATURA

SALVE-parole-spazzaturaSalve!
Eh! Salve… che saluto viscido!
No! Non per la parola che è un bel saluto…  in fondo si augura buona salute…
– Salve – mi capita di dirlo troppo spesso, senza pensarci e mi fa schifo.

La butto lì col vicino di casa e mi esce  –  Sao –  sì – Sao! –
perchè proprio mentre io gli sto dicendo –  Salve –
lui mi dice – ciao –
Cerco di correggere il tiro proprio a metà parola mentre sto cercando di  farla sparire e esce un  – Sao –  ridicolo.

Facciamo così anche nelle email di lavoro.

Salve… Ufff!!!

Qualche decennio fa decisi di buttare via –  cordiali saluti –  non se ne poteva più.
Ero stufo di vederli alla fine di tutte le email che ricevevo e mi dissi che non potevo fare lo stesso.
Ho iniziato a salutare con – a presto –.

Mi sembrava fico, diverso…  Adesso, dopo aver consumato qualche milionata di – a presto – non ne sono più tanto sicuro.

Tutta questa tirata su – Salve – ciao – buongiorno – cordialmente, tanti saluti e a presto… Per dire che le parole si consumano come le gomme della macchina.

Le gomme le cambiamo perché ad un certo punto ci viene paura di andare a sbattere. Continuiamo invece ad usare sempre le stesse parole anche se un po’ alla volta finiscono per non servire più a niente.
Continuiamo a dirle imperterriti e diventiamo trasparenti, invisibili…  inutili anche noi…

Scriviamo presentazioni sul nostro sito aziendale che sembrano indirizzate a qualche ufficio UCAS sperduto nel deserto.
Mandiamo email tutte uguali.

Bisognerebbe essere veri, dire delle cose che ci riguardino davvero… nelle email come nei contatti reali, faccia a faccia, di tutti i giorni.

Non c’è differenza.

La posta elettronica, whatsapp, il blog, il sito web aziendale e tutti i social sono solo dei mezzi  di comunicazione che ci danno più opportunità di contattare la gente, parlarci, magari vendere più di quanto non fosse possibile fare solo col telefono e con la posta tradizionale qualche decennio fa.

Non sono gli strumenti, la differenza la fanno le parole, quelle vere che ancora incidono, non quelle che ripetiamo tutti senza nemmeno pensare a quello che diciamo…

Anche tu hai parole da buttare via?
Quali sono le tue parole consumate?

IL PROGETTO DELL’IDENTITÁ

Il-progetto-dell'identità
Ieri ho pubblicato la  frase che mario nanni (con le iniziali minuscole come piace a lui), il progettista, l’inventore di Viabizzuno, l’importante azienda di sistemi di illuminazione, ha posto all’inizio del mattone bianco che è il catalogo delle sue lampade.
È un bellissimo oggetto. Mi è capitato in mano e ha acceso una lampadina da qualche parte nella mia testa.
Non per la frase in sé:
– I progetti rendono gli oggetti eterni, le mode li corrompono, gli imbecilli li copiano e li vendono agli ignoranti e ai deficienti. –
La denuncia del furto come regola, di un processo che abbandona ogni consapevolezza e diventa biecamente commerciale.
Per l’uso forte, chiaro delle parole.
Per l’identità inequivocabile che trasmette.
Mi piace Viabizzuno e tutto quello che è, che fa mario nanni.
È come un segno nero sottile su una parete.
Ho scoperto la magia della luce il giorno che l’ho vista entrare di traverso da una piccola finestra in una stanza bianca. Quando ho iniziato a fare le prime foto, ai tempi della scuola, tanti anni fa.
Volevo solo dirvelo.
Ci scegliamo perché ci piacciono le stesse cose.
Lo stesso spirito con cui fare le cose, anche quelle più diverse.

SCEGLIERE, AFFERMARE LA PROPRIA IDENTITÁ

scegliere

Aiuto le Aziende a comunicare.
A mostrare nel modo migliore il loro lavoro. Le aiuto a vendere i loro prodotti e se stesse, a mostrare la loro capacità innovativa e la loro organizzazione.

Aiuto le Aziende a scegliere.

Parola importante SCEGLIERE.
Parola che ha a che fare con la propria IDENTITÁ.

Scelgo le parole.
Quelle che rappresentano i valori, il pubblico e il mercato delle aziende per cui lavoro. Cerco di parlare al cuore e alla mente delle persone.

Scelgo la carta su cui stampare.
Leggera, pesante, ruvida, liscia, goffrata, ecologica.
Scelgo il formato e il layout dell’impaginato.

Scelgo le funzionalità e i contenuti di siti Internet semplici ed emozionali. Pagine web visualizzabili su pc, smartphone e tablet per le loro avanzate caratteristiche responsive.

Scelgo le immagini, la luce, il taglio… il ritmo e l’originalità del montaggio dei video che raccontano le persone, il lavoro e i prodotti.

Scelgo colori, materiali, luci per esporre e mostrarsi. Progetto gli spazi di stand e locali  commerciali. Scelgo forme, funzioni, profumi, suoni, emozioni…

Scelgo le forme dei prodotti e la grafica del packaging che li conterrà.

Il prodotto e la sua comunicazione nascono assieme. Le forme scelte per il prodotto evocano già le parole che lo racconteranno.

C’è sempre una scelta da fare, scegliere è il mio lavoro.

W LA LIBERTÁ di essere creativi

W-la-libertà

 

Prendo spunto dalla diatriba  di questi giorni tra Messner e ‪Jovanotti per dire qualcosa sui limiti da porre alla creatività, all’inventiva, all’innovazione e perché no, alla bellezza. Per chi non sapesse, Messner ha dichiarato che se fosse per lui, il concerto del Jova a Plan de Corones, a 2275 metri di altezza nel cuore delle Dolomiti, non si farebbe mai.
Jovanotti rassicura sul suo impegno a tutela del territorio interessato dai suoi maxi eventi di questa estate, l’altro sarà a Rimini. Fin qui la disputa. Immaginate il quadro con sullo sfondo Woodstock, i Pink Floyd a Venezia, Modena Park di Vasco e le polemiche sul milione e mezzo di persone che hanno attraversato il lago d’Iseo sulle Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude tre anni fa.
Tutto bellissimo! Compresi i tanto vituperati Pin Floi resi mitici dai Pitura Freska.

Il paesaggio e le città vengono distrutti tutti i giorni da ben altro, non dalle folle attratte dagli eventi della creatività pop.

Su questo si può essere d’accordo oppure no. Che la creatività abbia bisogno di abbattere i limiti e di coinvolgere la gente credo invece possa essere un pensiero condiviso. Che si debba sempre fare tutto il possibile perchè, Natura, Ambiente, Territorio, Città, e incolumità di tutti i partecipanti siano tutelati è fuori discussione.

Qualche volta la creatività è provare ad andare oltre, tentare di inventare qualcosa di nuovo.

Portare per un momento il silenzio dove c’è sempre stato il rumore e per un giorno fare invadere dalla musica luoghi sempre silenziosi.

Stare immobili dove dappertutto è movimento e ballare, creare cinematismi dove sempre tutto è stato fermo. 

Stampare immagini sui palazzi e sulle strade.

Tagliare il paesaggio con segni sorprendenti. 

È difficile e penso comporti un’organizzazione folle ma creare eventi che coinvolgano molte migliaia di persone è un modo per diffondere la bellezza, per emozionare e unire.

Dovremmo pensarci quando progettiamo i nostri eventi aziendali. Cose mille volte più piccole ma che possiamo immaginare con dinamiche molto simili a certi grandi eventi collettivi.
Qualsiasi sia il tema del nostro progetto,  invece di ripercorrere sempre le stesse strade fatte di divieti e sensi unici varrebbe la pena sparigliare le carte, fermarsi a riflettere e imboccare strade nuove.

APRITI SESAMO! Formule magiche e parole chiave

APRITI-SESAMO

 

Ognuno di noi, nel suo lavoro, sa che certe parole aprono le porte al pubblico, lo catturano e aiutano a vendere. 
Non  sto parlando di formule magiche buone per vendere ghiaccioli agli esquimesi, neanche delle parole che avvicinano, creano complicità, sembrano risolvere ogni problema e soddisfare ogni richiesta. Splendidi passpartout che però non sono parole legate solo al nostro lavoro.
Ognuno di noi ha le sue parole chiave. Parole che attirano e conquistano proprio le persone interessate ai nostri prodotti.

Se produco e vendo mobili di qualità una di queste parole sarà “legno”, altre saranno “solido” “durevole”, “caldo”, “comodo”. Parole che in parte saranno più importanti di “bello” e più attraenti di “economico”.

Se produco e vendo gioielli importanti in oro e diamanti, eseguiti a mano, ovviamente piuttosto cari, una delle mie parole chiave sarà “valore” e poi “oro” e poi ancora “eseguito a mano” e altre ancora…

Se invece produco complementi di arredo dalle forme ricercate realizzati in metallo e materie plastiche parlerò di “design” “ricerca”, “tendenza”, “colore”, “emozioni”…

Così se produco e vendo ottimi vini o carpenteria metallica, formaggi o pentole… divani o lampade…
Ognuno conosce bene le parole che fanno la differenza.
Basterà cambiare di poco la tipologia dei nostri prodotti e cambieranno decisamente il pubblico e le parole giuste per attrarlo.

Individuiamo il nostro pubblico e parliamogli con le parole che apprezza.

FACCIAMOLO STRANO – IL PRODOTTO

facciamolo-strano

 

Il prodotto, l’azienda devono essere riconoscibili.
Farsi riconoscere non vuol dire solo stampare il proprio nome dappertutto o metterci la faccia sempre e ovunque.
Farsi riconoscere significa avere stile. Un modo unico di fare, di essere, di produrre e comunicare. 

Mettici il tuo colore, quello acido, pastello, naturale, metallico… un Pantone che usi solo tu.

Di che profumo sa la tua azienda?
Di terra? Di campi falciati?
Di petrolio o di frutta candita?

Qual è il suono, la musica che ti distingue? Pensa al “booong” di Brian Eno che risuonava all’accensione del primo iMac. Come suonano le tue cose?

Pay-off, slogan… cosa dice la tua azienda? Ma soprattutto come lo dice? Che sapore, che profumo, che suono hanno le tue parole? Dolci come una torta di mele, secche come un buon bianco, affilate come una spada, didascaliche, altisonanti, piatte, rotonde, acuminate come spine o morbide come cuscini.

I tuoi progetti, le tue forme come sono?
Linee diritte e parallele o spezzate piene di angoli acuti? Curve sexi? Morbide, infinite sinusoidali, modanature classiche, ridondanti composizioni barocche… frattali, ellissi, spirali… o semplici rettangoli smilzi?

Non è obbligatorio che i nostri prodotti siano bizzarri. Uno stile può essere riconoscibilissimo con un nonnulla… purchè sia un nonnulla che faccia pensare “Ah! Però!”.

Quante scelte tocca fare per decidere chi siamo davvero.
La fregatura è che non pensarci, lasciar perdere è solo un altro modo di scegliere. 

CI VUOLE OCCHIO E TEMPO

OCCHIO-e-TEMPO

 

Se non si ha occhio non si fa niente.
Niente architettura, niente grafica, niente pittura, niente fotografia, niente scenografia, niente design…
Per niente si chiamano arti visive.
Ci vuole occhio! 
Così come per suonare ci vuole orecchio e devi averlo tutto anzi parecchio come diceva il grande Jannacci.
Ma una volta che hai avuto la fortuna di avere un occhio capace di distinguere una bella linea da una sbilenca devi sperare che ti diano anche il tempo per accorgertene.
Bisogna aspettare perché le forme si rivelino. 
Spesso basta un attimo ma tante volte quella che sembrava una scelta  perfetta due ore o due giorni dopo mostra i suoi lati storti.
Purtroppo il tempo è sempre troppo poco, sempre meno.
Spesso nelle aziende giunti al momento di far entrare in gioco la creatività si ha troppa fretta di finire e difficilmente si possono programmare pause di riflessione. Così capita che un lavoro lo si debba fare tre volte oppure che ci si accontenti.
Mettiamo in campo per tempo l’occhio e diamogli il tempo di abituarsi alla luce!

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