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CI VUOLE OCCHIO E TEMPO

OCCHIO-e-TEMPO

 

Se non si ha occhio non si fa niente.
Niente architettura, niente grafica, niente pittura, niente fotografia, niente scenografia, niente design…
Per niente si chiamano arti visive.
Ci vuole occhio! 
Così come per suonare ci vuole orecchio e devi averlo tutto anzi parecchio come diceva il grande Jannacci.
Ma una volta che hai avuto la fortuna di avere un occhio capace di distinguere una bella linea da una sbilenca devi sperare che ti diano anche il tempo per accorgertene.
Bisogna aspettare perché le forme si rivelino. 
Spesso basta un attimo ma tante volte quella che sembrava una scelta  perfetta due ore o due giorni dopo mostra i suoi lati storti.
Purtroppo il tempo è sempre troppo poco, sempre meno.
Spesso nelle aziende giunti al momento di far entrare in gioco la creatività si ha troppa fretta di finire e difficilmente si possono programmare pause di riflessione. Così capita che un lavoro lo si debba fare tre volte oppure che ci si accontenti.
Mettiamo in campo per tempo l’occhio e diamogli il tempo di abituarsi alla luce!

IL DESIGN, CENT’ANNI DI SOLITUDINE

IL-DESIGN
In questi giorni si celebra l’anniversario della fondazione della BAUHAUS. La scuola di architettura, arte e design fondata a Dessau nel 1919 da Walter Gropius, trasferita a Berlino nel 1932 e chiusa definitivamente nel 1935 per le imposizioni discriminatorie del nazismo.
Con la BAUHAUS iniziava un modo nuovo di intendere il prodotto industriale, riconoscibile dall’unità d’intenti tra forme d’arte e sistemi produttivi.

Dopo cento anni la parola DESIGN è sulla bocca di tutti ma il suo significato si è annacquato sciogliendosi in mille accezioni nebulose.
Di certo, se è cresciuto il numero dei progettisti capaci di coniugare funzionalità e ricerca estetica nella consapevolezza del loro ruolo, desiderosi di offrire all’industria e agli acquirenti oggetti belli e costruiti bene, non si può dire che si sia diffusa in modo altrettanto convincente una cultura estetica moderna.

Tiriamo in ballo ad ogni piè sospinto il “less is more” di Mies Van der Rohe che dalla BAUHAUS portò in America e da lì nel mondo i principi del moderno, quelli che oggi mescoliamo con decorazioni e ricerche creative spesso molto sopra le righe.
Dal fashion design all’interior design è ormai lecito tutto in una fruizione di massa che per lo più ignora ogni riferimento, ogni ironia, in un consumo individuale senza regole se non quelle antitetiche del sorprendere e del rassicurare.

Sono passati cent’anni, cent’anni di solitudine per il design che si rivolge ancora e forse più di allora ad una ristretta élite culturale mentre il mercato offre mille cose diverse in un minestrone digeribile a tutti.

In un mercato così vario se offriamo prodotti di qualità dobbiamo affrontare il percorso arduo di informare, spiegare, acculturare e costruire un nostro pubblico che apprezzerà senza riserve il lavoro fatto perché lui possa farne parte.

Simmetria, malattia infantile

È bellissimo! È simmetrico!

C’è chi ama tantissimo la simmetria e non ne può proprio fare a meno.
Attenzione! Si tratta di essere posseduti da un demone subdolo, da una malattia grave.
Per dirla brutalmente, chi ama tanto gli altarini, chi  adora la perfetta simmetria di un saint honorè e non dubita nemmeno per un istante sull’ovvietà dei calzini gemelli… non più così ovvi… Ecco… difficile dirlo ma… Chi non sopporta neppure l’idea che i comodini a lato del letto possano essere uno diverso dall’altro… ahimè! Sappia di avere una forma acuta di sindrome da simmetria. Attenzione! Non è una malattia professionale, roba da grafici, designer o architetti… tipo gomito del tennista.
No! E’ un brutto virus e ce lo becchiamo tutti senza scampo.
Malattia simile al morbillo ma senza papule. La sindrome da simmetria è lo stato normale fino ai quattordici anni, fino a quell’età optare per scelte simmetriche è inevitabile e solo pochi picchiatelli la scampano da piccoli. Con l’età adulta la questione diventa preoccupante, anche perché continuare ad avere gli stessi gusti di un moccioso, detto tra noi, non è proprio il massimo.
Tranquilli, non è semplice, ma si guarisce. Ve lo dice uno che ne ha sofferto in forma grave per un sacco d’anni. La simmetria ci vuole bene come una mamma, ci tranquillizza, fa sembrare tutto perfetto, in equilibrio, concluso… bello!
Il risultato è che ci rinchiude in una gabbia rigida e vecchia. Uscirne è dura, comporta fatica, applicazione, bisogna iniziare a fare scelte diverse, difficili, peggio che iniziare a mangiare la cicoria.
Arredare la cucina e ruotare il tavolo che prima era perfettamente parallelo alla parete dandogli una bella angolazione di 23, 24 gradi. Scegliere di avere sedie tutte diverse in giro per casa. Cambiare il proprio look e finalmente indossare calzini spaiati. Lasciare lo show-room dell’azienda mezzo vuoto con una fila di vetrine drittissima e sbilenca. Portare un orecchino solo ma lunghissimo appeso al taschino della giacca… Così via di asimmetria in asimmetria!
In men che non si dica diventerà difficilissimo anche solo pensare di arredare la propria camera da letto con due comodini uguali, immaginare di vivere con l’ingresso a tempietto greco e anche solo pensare di comporre un paragrafo di testo come fosse un’antica epigrafe.
Finalmente guariti ci verrà naturale sparigliare in asimmetrie creative a volte anche un po’ pazzarielle!
Sarà allora che ci verrà nostalgia dei bei tempi in cui un asse di simmetria risolveva tutto. Nostalgia delle siepi di bosso ai lati del vialetto, delle poltroncine uguali ai lati del caminetto… Non preoccupatevi, la sindrome da simmetria è come il morbillo, quando la si è avuta non si prende più, tanto che in qualche rarissima occasione potremo permetterci di esclamare…
È simmetrico! È bellissimo!

FA’ SUCCEDERE QUALCOSA

FA-SUCCEDERE-QUALCOSA
Fa’ succedere qualcosa.
Trova un prato in un bel posto.
Una piazza.
Una spiaggia.
Un parcheggio sempre vuoto di un’area industriale.
Fissa un appuntamento.
Usa tutta la fantasia che ti circonda e spendi meno soldi che puoi.
Non badare a risparmiare.
Cerca un coro di bambini.
Fa’ un po’ di musica.
Abbraccia e ridi.
Accendi un fuoco e canta.

Offri qualcosa di buono e di caldo da bere.
Fatti duemila selfie con tutti.
Non aspettarti niente.
Invita a prendere dalla festa un ricordo.
Collegati su un grande schermo con chi è lontano.
Manda un pezzetto di festa a chi non è potuto venire.
Inventa un  regalo da fare tutti insieme ai bambini che cantano.
Qualcosa che si ricorderanno.
Inventa un gioco e un ballo,
Aspetta la sera, l’alba, la neve.
Ascolta il silenzio, il vento, la pioggia, le chiacchiere e i sorrisi.

Mancano meno di due mesi a Natale e se hai deciso di regalare qualcosa ai tuoi clienti fa’ in  fretta.
È già tardi.
Scegli, acquista, confeziona e spedisci.

Oppure fatti venire un’altra idea.

LA BELLEZZA, il palcoscenico perfetto della natura

LA-BELLEZZA

 

Ho trascorso gli ultimi due giorni nella foresta del Cansilio a camminare da solo per i boschi. Il telefono non prendeva, nessuna connessione, benedetta Wind. I boschi di faggi completamente privi di sottobosco sono di una bellezza da togliere il fiato. Ordinati, puliti, profumati, con le piante che escono da un tappeto omogeneo di foglie color bronzo. Per l’ennesima volta la natura mi é sembrata il palcoscenico perfetto per l’uomo. Perché l’uomo ci cammini e basta come stavo facendo io, oppure perché ci costruisca le sue opere lasciandosi ispirare dalla pagina incredibile su cui può disegnare. Percorsi, città, abitazioni, sculture, segni, scenografie.

E invece non siamo capaci.

Non sappiamo cosa sia la semplicità, l’essenza. Non sappiamo cosa sia la forza, la violenza, il coraggio… perché sono ridicole le nostre casine che disseminiamo dappertutto nonostante leggi e leggine che servono solo a costringerci a far peggio come non fossimo già capaci da soli.

Non sappiamo cosa sia lo spazio vuoto.

Non sappiamo che una scatola di vetro può essere già troppo. Che un muro di cemento alto fino in cielo può non essere abbastanza. Che una cittá dovrebbe essere articolata e compatta come il corpo di un animale. Per questo una cittá non può crescere a dismisura.

Non ce ne frega niente che tutto quello che tiriamo su finisca per comporre il paesaggio di tutti.

Dobbiamo tornare a cercare la bellezza. A comporre il disordine, ad approfittare del caos per lasciare anche un segno soltanto che valga la pena ricordare.

Wow! Meglio un asino volante che un cavallo da corsa

Wow!-Meglio-un-asino-volante-che-un-cavallo-da-corsa!

Ci sono oggetti fantastici, elaborati grafici perfetti, sistemi espositivi che funzionano davvero e packaging che sembrano fatti apposta per contenere il loro prodotto. Eppure in pochi si accorgono di tanta perfezione. Forse sono così buoni proprio perché nessuno se ne accorge.
Non mi piacciono.
Amo le esagerazioni che si fanno notare. Mi piacciono quei difetti che fanno esclamare – Wow! Si vede che  dietro a questa cosa c’è un’idea… c’è un progetto… –
Ogni cosa esiste sempre su due piani.
Il primo è quello funzionale in cui si soddisfano tutte le richieste e il nostro prodotto assolve al suo compito. L’impaginato è coerente e leggibile, la vetrina mostra e il packaging contiene correttamente e protegge. Su questo primo piano avrò già infilato di sicuro anche cose che non hanno nulla di funzionale. Avrò scelto una forma anziché un’altra che avrebbe potuto funzionare ugualmente, deciso un colore o un font che mi piacevano più di altri, e così via in modo più o meno consapevole, facendo attenzione che tutto alla fine funzionasse.
Il secondo piano è quello delle emozioni, della comunicazione.
Ho sempre pensato che se si vuole comunicare un prodotto, raggiungere un pubblico, sarebbe meglio iniziare a pensarci subito. Creare oggetti che oltre a rispondere a tutti i requisiti funzionali richiesti sappiano attrarre l’attenzione ed emozionare. Oggetti che in qualche modo si vendano da soli o che comunque aiutino molto a farlo.
Per riuscirci spesso bisogna tornare sul piano funzionale e distruggere qualcosa di quella perfezione che ci soddisfaceva così tanto. Qualche volta occorre mandare in malora tutto. Ci sono invenzioni formali, idee, forme estetiche così emozionanti che portano a distruggere anche il progetto più curato, quello che ci aveva impegnati e ci aveva soddisfatto. Non importa. Non se ne accorgerà nessuno.
Davanti ad un oggetto, una forma, una qualsiasi cosa che emoziona non ci facciamo mai domande. Quando compriamo una cosa che ci piace davvero e ci emoziona facciamo passare in secondo piano tutte le nostre aspettative funzionali. Sappiamo già che con quella caffettiera non faremo mai il caffè ma la compriamo lo stesso, felici di tenerla come una scultura in libreria. Siamo certi che non ci siederemo mai su quella poltroncina che pure ci darà una strana emozione quando l’accarezzeremo con lo sguardo passando nell’ingresso di casa.
Gli acquisti più gratificanti sono sempre quelli che non servono a niente.
Oggetti inutili, che da soli salvano un brand, che da soli riescono ad occupare le pagine dei giornali e le stanze delle nostre case.
Meglio un asino volante che un cavallo da corsa!

il bello è buono

il-bello-è-buono

 

Ho scelto tanti libri per l’aspetto della copertina. Qualche volta è andata bene, qualche altra no. Dello stesso testo ci sono edizioni bellissime e altre proprio brutte. Anche il formato ha il suo peso. Secondo me la dimensione perfetta é quella di Einaudi Stile Libero, 135×207, una bella dimensione che funziona con poche pagine ma anche con tantissime. Bellissime anche le copertine, l’immagine a piena pagina, il dorso giallo, il titolo dal corpo importante.
Forma o contenuto?
Un romanzo brutto resta brutto anche con una copertina fantastica. Però mi é capitato di rado di trovare delle cose scritte davvero male ma impaginate bene, belle copertine piene di schifezze, cose brutte ma funzionali. Non mi é mai capitato di trovare poltrone scomode ma bellissime, liquori pregiati in bottiglie sgraziate o sgorbi di auto che filino velocissime. Sono convinto che la qualità del contenuto, sia testo, cibo, meccanica, spazio, abbigliamento… non possa prescindere dal valore della forma.
Il bello é quasi sempre buono.

SPLENDIDE IMPERFEZIONI

splendide-IMPERFEZIONI__1000Quello dell’imperfezione è un tema che mi affascina, un tema che in tanti modi diversi sta al centro di tutti i processi creativi. Ovviamente parliamo sempre di imperfezioni che hanno quel quid  che migliora le cose e le persone.

LE PERSONE
Un viso fortemente asimmetrico segnato da occhi lunghi come ogive, la pelle troppo bianca, i capelli troppo biondi, un’inflessione della voce strana… l’eleganza in difficile equilibrio…
Com’è difficile guardarci allo specchio e voler bene alle nostre imperfezioni!

LA SCRITTURA
Anche nella scrittura le imperfezioni creano senso, emozionano, aumentano l’attenzione del lettore. Mi piacciono gli elenchi ossessivi, le interruzioni improvvise, le parole apparentemente fuori luogo…
Le parole sono degli oggetti strani, a volte ne ripeto una fino a quando perde il suo significato e non restano che suoni e segni astratti sulla carta.

I MATERIALI
I segni del tempo trasformano i materiali e ne tirano fuori l’anima. Fessure, striature, ammaccature, tagli, porosità, deformazioni, cambiamenti di colore… diventano marchi di qualità, attestano la naturalezza e la resistenza di materiali che vengono scelti e apprezzati proprio per come si trasformano nel tempo e per l’unicità delle loro imperfezioni.

IL PROGETTO
In ogni progetto è possibile introdurre elementi di imperfezione. Esagerazioni, eclatanti scostamenti dallo standard. Penso che esista davvero un progetto solo quando sia leggibile la volontà di andare oltre l’ovvio, il banale, le prescrizioni, i regolamenti senza senso. Avere chiari i confini della funzione, dell’economia e della produzione e farli scomparire con un segno.

LA NATURA
La natura è perfetta ed è possibile parlare di imperfezione solo accostandola alle opere dell’uomo. Le imperfezioni che troviamo sulla buccia di un frutto non appartengono al frutto ma al nostro modo di guardarlo e così per tutto il resto. L’imperfezione è un gioco che appartiene solo a noi, alla nostra cultura.

La moda, l’arte, ma anche tutti i manufatti che progettiamo sono ricchi di splendide imperfezioni. È attraverso queste che riusciamo a comunicarli meglio.

CREATIVITÁ e COMMITTENZA

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Spesso chi cerca creatività non sa bene cosa cerca, non ha un’idea chiara di cosa sia la creatività e a cosa serva.

Capita che il committente scarichi tutta la responsabilità del fallimento sui creativi di turno, rei di non aver capito e di non essersi fatti capire.
Il recente exploit della ministra Lorenzin per il Fertility Day ne è un esempio lampante.
Dopo una campagna di comunicazione indegna, di fronte alle generali rimostranze, la Lorenzin prima licenzia il direttore della comunicazione del Ministero e poi, intervistata in TV butta lì la richiesta ai creativi che la criticano – se son così bravi –  di farsi avanti a far proposte…
Gratis! Ovviamente.

Tante volte il lavoro creativo viene visto come un’attività per fuoriditesta, o quando va bene per farfalloni provocatori che spesso amano vestirsi da cretini e passare il tempo divertendosi a spararle grosse. Gente che vive d’aria e si diverte così tanto che sembra davvero troppo doverla anche pagare!Invece dovrebbe essere chiaro che la creatività è un lavoro, non c’entrano genialate un tanto al chilo o invenzioni strane. La creativitá è fatta da vocazione, talento, professionalità, ricerca, studio, sperimentazione ed è una cosa utile, che serve…
Sì, serve! Non esiste la creatività inutile.
Serve per creare bellezza e non c’è cosa più utile della bellezza. Non tanto per dire. La bellezza, le cose belle, una comunicazione “bella”, sono tutte cose che fanno vendere… oltre che a rendere piacevole la vita.
Serve per fare innovazione, quella cosa che ci fa andare avanti e ci fa emozionare. Siamo tutti attratti dal nuovo.
Serve per comunicare in modo efficace e tutti sappiamo quanto sia importante far arrivare il messaggio giusto al nostro pubblico.

La creatività è un lavoro serio che va pagato, per quanto sia cara costerà sempre meno degli spazi e dei tempi necessari per produrla e trasmetterla: costi di produzione, di commercializzazione, di stampa, pagine di giornali, spazi televisivi… Il successo o il fallimento di un prodotto o di una campagna di comunicazione lo fa prima di tutto la creatività.

Il committente, gli imprenditori o gli amministratori pubblici che cercano e chiedono creatività devono essere all’altezza di quello che vogliono. È il committente che deve definire gli obiettivi e scegliere i creativi con cui lavorare. È Lui che alla fine riconosce la qualità del progetto creativo, dà l’OK e lo mette in produzione.
La responsabilità di un bel progetto di design o di una buona comunicazione è sempre divisibile a metà tra il committente e i creativi che a scelto.

Mi piace lavorare quando c’è affinità, quando è facile capirsi, quando è ben chiaro a tutti dove si vuole arrivare, quando si ha l’umiltà di condividere la strada e la capacità di percorrerla insieme.

BELLO è UTILE

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Quante volte abbiamo sentito la frase – l’importante è che sia utile, funzionale, non è importante che sia bello! –
Invece il bello è utile, vantaggioso economicamente e assolutamente indispensabile per comunicare l’azienda.

– Fa parlare di sé e si fa vedere.

– Emoziona e fa innamorare.

– É innovativo e stupisce.

– Ha tante cose da raccontare.

– Non è banale.

– Trasmette le capacità dell’azienda,

– e i suoi valori 

– É semplice

– Fa vendere

Realizzare un bel oggetto, un bel logo, un bel depliant o un bel catalogo, un bel sito internet, delle belle fotografie, un bel testo per il blog, per face book o per la tua newsletter… fare le cose bene e far sì che siano belle non costa di più e soprattutto tuoi investimenti in design e comunicazione non saranno controproducenti.

La creatività deve mostrare il progetto che la ispira!

Progettiamo insieme delle cose belle!

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