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La gente del mio lavoro

Nel mio lavoro mi capita di incontrare gente di ogni tipo.
Fotografi bravissimi capaci di farmi vedere cose che non vedevo. Tipografi  e grafici che rimpiangono i vecchi strumenti del mestiere ma poi si aggrappano ai loro Mac come a figli. Imprenditori di ogni genere. A me toccano sempre i più creativi, quelli che mi cercano solo perché quelli come noi si attirano come  le nuvole. Trovo artigiani che con le mani sanno fare tutto costretti a passare carte. Incontro orafi che cercano tutti i giorni una forma nuova. Distillatori che come maghi mescolano il vento, la terra, il legno e l’acqua e ne esce un silenzio buono rotto da un po’ d’allegria. C’è chi trancia e piega lamiere grosse un dito con presse alte come una casa e costruisce stampi con la precisione sottile di un capello biondo. Chi fa bulloni, dadi e staffe che tengono insieme i pezzi dei posti dove viviamo. Gente che sa cos’è la bellezza perché ce l’ha dentro, che cuce tessuti preziosi e difficili intorno a forme ancora non viste, che rende prezioso un cuscino e comoda un’asse di ciliegio. Incontro imprenditori che a una cert’ora ne hanno due palle e aspettano che sia notte per chiamare dall’altra parte del globo.
C’è chi cura fiori, mele e uva leggendo vecchi libri color canna da zucchero e studia la terra da chimico, geologo sciamano.
Ho incontrato persone che conoscono tutti e girano per il mondo e altre che stanno Sempre ferme a incidere lastre d’oro grandi come uova di colibrì. Modelle bellissime e tecnici delle luci capaci di rendere morbidi chiodi piantati in lastre di marmo. Videomaker geniali e vanesi, web designer simpatici e saccenti, sviluppatori di software, commercialisti, pr, avvocati, psicologi e runner…
Ho visto la mia faccia riflessa negli occhi di tutta questa gente e le poche volte che mi sono piaciuto poi è stato bello lavorarci.

NON CAMBIARE NIENTE e VIVERE FELICI

Qualche ottimo motivo per non cambiare un bel niente e vivere felici.
Perchè struggersi l’anima, il cervello e il portafogli dinanzi all’ineluttabile evidenza che il Logo ha  cinque o sei pantone di troppo, il sito internet non è responsive, lo stand in fiera comunica supercazzole a gogo ma non il marchio,  l’ultimo post sui social risale a prima di Mark e i prodotti messi in catalogo cinque anni fa erano più o meno simili a quelli dei lustri precedenti così come il catalogo.

Ottimo!

Avere un sito responsive non serve a niente. Anche perché se i contenuti non sono aggiornati l’unica utilità potrebbe essere forse quella di fornire il numero di telefono… Mah! E il numero di telefono sarà aggiornato?

I social sono una gran perdita di tempo.  Se proprio proprio meglio il bar che uno spritz dà più soddisfazione di sicuro.

Il logo super colorato è strafigo. Se poi l’ha disegnato il famoso cugino è motivo in più per non cambiarlo per niente al mondo.

Lo stand in fiera è costato un botto, di metterci anche un logo fuori più visibile non se ne parla. Poi ci sono un sacco di biglietti da visita infilati fuori, sul cristallo della vetrina, che da soli fanno già comunicazione.

Fare prodotti nuovi? Da escludere, quelli vecchi si vendono ancora benissimo e poi… toccherebbe anche rifare il catalogo.

Non si capisce perché si dovrebbe rifare il catalogo visto che i prodotti sono sempre quelli, i clienti vecchi ce l’hanno già e non ci sono clienti nuovi che ne richiedano uno diverso.

Si fa per ridere ovviamente. Ci diamo tutti un gran da fare per migliorare, per crescere, anche se dietro al paradosso, all’ironia ogni tanto ci lambisce il pensiero di lasciare tutto com’è.

Certo non si tratta di cambiare per cambiare ma il design e la comunicazione sono da sempre i motori delle aziende. Molto prima di internet, molto prima del marketing…

Esporre senza emozionare

IMPERFEZIONI – “La vita ha più gusto quando la bevi cruda.”

I testi impaginati alla viva il parroco!
Pazienza il web, dove il responsive ormai fa quello che vuole, ma la stampa no! Pagine giustificate senza giustificazioni, parole lasciate sole alla fine di un paragrafo, righe abbandonate sulla pagina bianca come spazzatura. Capisco che non è obbligatorio sapere di “vedove” e di “orfane”, vabbè ma basta solo un’occhiata per evitare certe schifezze.

Il design tanto per fare.
Forme strane  che non c’entrano niente, incrostazioni per coprire, decorazioni buttate lì. Invenzioni inutili, brutte, fatte solo per stupire che rendono gli oggetti vecchi ancora prima di essere prodotti.
Non me ne frega niente della funzione. Esageriamo, stupiamo! Ma con un minimo di stile.

Le imperfezioni di progetti cretini.
Guarnizioni che saltano via, incavi impossibili da pulire, lampadine insostituibili, materiali del piffero… Fotografie tagliate con la roncola e impaginate da ubriachi.

Le mie imperfezioni, quelle peggiori.
Puntini di sospensione come se piovesse, ripetizioni a go-go che quando tocca fare in fretta restano lì a futura memoria.  “La vita ha più gusto quando la bevi cruda.” Prendere al volo slogan che passano alle due di notte anche se non c’entrano niente e scriverli dove capita come avesse telefonato la Testa per dirmi di infilarceli.

Chiamiamole imperfezioni…

La scena del prodotto

Ecco qualche idea … e ricordiamoci sempre che tutte le regole sono fatte per essere trasgredite.

Pensiamo di essere a teatro, l’ho già detta mille volte ma non mi pare  sia passata ‘sta cosa del teatro.

Isoliamo il protagonista
La poltrona, il tubo di crema,  la collana, la bottiglia di grappa, la lamiera…  e usiamo la sua ombra stagliandola su di una scena bianca o facendola perdere nel buio. Un attore solo deve saper  tenere la scena, essere un mattatore…  ma ce l’abbiamo tutti un golden boy da schiaffare in prima pagina.

Uno… due… tre… quattro… protagonisti
Abbiamo diversi prodotti importanti? Isoliamoli  tutti come nel teatro dell’assurdo. Distanziamoli in spazi uguali, in fila. Separiamo lo spazio con la luce. Oppure disponiamoli secondo una geometria nota solo a noi, che risponda solo a canoni estetici. Oggetti inquietanti che non si parlano, che si voltano le spalle…

Mettiamoci il coro
Come il coro sulla scena del teatro greco antico mettiamo un gruppo di prodotti omogenei che faccia da contraltare ai protagonisti, li sorregga e li accompagni. Un po’ di spazio tra  gli uni e gli altri e luci diverse.

Un grande gruppo, un’orchestra
Valido per grandi gruppi di cose relativamente piccole.
C’è il direttore d’orchestra, il primo violino, l’arpa… e poi  tenori, soprani, contralti e stuoli di voci bianche…
Una composizione quasi sempre piramidale per non impallare nessuno, ma non per forza a simmetria centrale. Possiamo spostare il focus a tre quarti, tutto a destra o a sinistra. Se invece vogliamo proprio costruire l’altare… Esageriamo! Facciamolo verticale, alto, simmetrico fino all’inverosimile, senza un capello fuori posto. La luce cadrà al centro e sembrerà sparire ai bordi della nostra composizione.

Teatro sperimentale d’avanguardia
Della serie..  facciamo casino che tutti ci guardino!
Unica regola, la più dura, non avere regole.  Buttiamo le nostre cose come fossero messe a caso. Ci metteremo tre giorni ma non importa. Il risultato deve lasciare a bocca aperta… comunque.

Postilla
Evitiamo quelle cose da vigilia di Natale, i fiori se non facciamo i fioristi…  vetrine, stand, foto bellissime ma dove il prodotto non si vede. A meno che l’obiettivo non sia un altro, vendere il brand non il prodotto.
In genere sono due lavori diversi…

Meglio cambiare che cancellare tutto

Meglio cambiare!

Cancellare tutto non è un atto creativo.

Sbagliare invece molto spesso lo è.

Quando tiro una riga che non funziona non la cancello.
Ne tiro un’altra e magari tante altre che insieme danno senso a quella prima riga.

Se una foto non va bene non la butto. Ne scatto altre che partono proprio da quella prima foto sbagliata per arrivare dove volevo.

Se una frase suona male non la cancello. Riparto da lì da quelle stesse parole per costruirne un’altra.

Quando la grafica di un logo o l’impaginato di un catalogo non funzionano li giro e li rigiro, aggiungo, tolgo, sì certo, ma non butto mai niente finchè le cose iniziano a stare in piedi.

Capita che un cammino inizi con il piede sbagliato ma in genere non serve tornare indietro, si fanno altri passi, si aggiusta la direzione, si impara il ritmo giusto.

Se l’immagine, la comunicazione, la creatività di un’Azienda, di un Negozio, di un Ente non funzionano bisogna metterci le mani, aggiustare quello che non va, magari anche in modo pesante, ma non ha mai senso cancellare tutto.

Per tornare a viaggiare come cantava Battisti…

Gentilmente senza strappi al motore
E  tornare a viaggiare
E di notte con i fari illuminare
Chiaramente la strada per saper dove andare
Con coraggio gentilmente, gentilmente
Dolcemente viaggiare
Quel gran genio del mio amico
Con le mani sporche d’olio
Capirebbe molto meglio
Meglio certo di buttare
Riparare

scrivere con carattere

Quando scriviamo ci concentriamo sui contenuti, su quello che vogliamo dire. Quasi simultaneamente cominciamo a dar forma al nostro testo.

Forma, intendo proprio forma.
Un bel blocco di sette o otto righe compatte con una lunga descrizione. Un testo tutto seghettato con frasi brevi che vanno subito a capo per riportare un dialogo veloce o un elenco di idee flash. Un grassetto magari tutto maiuscolo per una citazione importante.

Il testo si fa leggere in prima battuta dagli occhi e ci parla già,  senza bisogno di farsi comprendere. Va da sé che un testo può essere brutto o bellissimo, può attrarre o respingere, può essere frivolo o serio e tutto ciò per come abbiamo sistemato le parole. Possiamo farle fluire o interromperle continuamente, ritmarle, lasciare righe semivuote o riempire le nostre pagine minuziosamente.

Evitiamo come la peste le vedove e le orfane.
Si chiamano così la prima e l’ultima riga di un paragrafo abbandonate all’inizio e alla fine delle pagine, separandole dal loro paragrafo. Fatto questo possiamo comporre il nostro testo “quasi” come vogliamo.
È un peccato che nel web vedove e orfane abbondino. Tutto deve essere responsive e i testi si adattano in un lampo ai dispositivi che usiamo fregandosene dell’estetica.

Prima di stampare o pubblicare sul web tocca la scelta più importante.
Decidere il carattere, il font.
“Carattere” dice già tutto. È il font che dá davvero carattere ai nostri testi. Scegliere lettere disegnate in modo semplice e lineare come i “bastoni” mostra un certo carattere, scegliere lettere aggraziate ne mostra un altro, prendere uno degli infiniti font di fantasia mostra altri caratteri ancora.
Ci sono molte migliaia di font a cui attingere per dare carattere ai nostri testi ma in realtà quelli che funzionano davvero sono molti di meno.

Un consiglio semplice, semplice al limite del banale.
Non usate font strani.
Mille volte meglio sembrare privi di fantasia che comporre una pagina inguardabile o illeggibile.
Certi padri nobili della grafica mi hanno accusato di usare troppo l’Helvetica Extralight. Hanno ragione! Amo l’iPhone solo perché Paul Ive, il capo dei designer di Apple ha scelto l’Helvetica Extralight per rilanciare il melafonino. Ma hanno ragione. L’extralight è davvero troppo sottile e qualche volta non si legge proprio. A malincuore meglio il più leggibile light anche se meno bello.

Mi piacciono i caratteri storici che sono passati direttamente dal piombo al web, come i Bodoni, i Garamond, i Times, I Futura… e poco altro.
Tutta roba che si fa leggere.

Scegliamo font che ci piacciono e che siano facili da gestire.
Gruppi di font completi di Bold, Italic, Condensed, Outline, Light e di quel po’ di extra che serve sempre. Scegliamo i nostri “Bastoni” e le nostre “Grazie” e prima di cambiare con qualcos’altro pensiamoci.

Prendiamo i caratteri di fantasia solo quando servono. 
Ce ne sono di splendidi per i “titoli”, per i “capolettera”, per la “grafica”.
Il resto è solo fantasia. La nostra.
Roba da maneggiare con attenzione.

Simmetria, malattia infantile

È bellissimo! È simmetrico!

C’è chi ama tantissimo la simmetria e non ne può proprio fare a meno.
Attenzione! Si tratta di essere posseduti da un demone subdolo, da una malattia grave.
Per dirla brutalmente, chi ama tanto gli altarini, chi  adora la perfetta simmetria di un saint honorè e non dubita nemmeno per un istante sull’ovvietà dei calzini gemelli… non più così ovvi… Ecco… difficile dirlo ma… Chi non sopporta neppure l’idea che i comodini a lato del letto possano essere uno diverso dall’altro… ahimè! Sappia di avere una forma acuta di sindrome da simmetria. Attenzione! Non è una malattia professionale, roba da grafici, designer o architetti… tipo gomito del tennista.
No! E’ un brutto virus e ce lo becchiamo tutti senza scampo.
Malattia simile al morbillo ma senza papule. La sindrome da simmetria è lo stato normale fino ai quattordici anni, fino a quell’età optare per scelte simmetriche è inevitabile e solo pochi picchiatelli la scampano da piccoli. Con l’età adulta la questione diventa preoccupante, anche perché continuare ad avere gli stessi gusti di un moccioso, detto tra noi, non è proprio il massimo.
Tranquilli, non è semplice, ma si guarisce. Ve lo dice uno che ne ha sofferto in forma grave per un sacco d’anni. La simmetria ci vuole bene come una mamma, ci tranquillizza, fa sembrare tutto perfetto, in equilibrio, concluso… bello!
Il risultato è che ci rinchiude in una gabbia rigida e vecchia. Uscirne è dura, comporta fatica, applicazione, bisogna iniziare a fare scelte diverse, difficili, peggio che iniziare a mangiare la cicoria.
Arredare la cucina e ruotare il tavolo che prima era perfettamente parallelo alla parete dandogli una bella angolazione di 23, 24 gradi. Scegliere di avere sedie tutte diverse in giro per casa. Cambiare il proprio look e finalmente indossare calzini spaiati. Lasciare lo show-room dell’azienda mezzo vuoto con una fila di vetrine drittissima e sbilenca. Portare un orecchino solo ma lunghissimo appeso al taschino della giacca… Così via di asimmetria in asimmetria!
In men che non si dica diventerà difficilissimo anche solo pensare di arredare la propria camera da letto con due comodini uguali, immaginare di vivere con l’ingresso a tempietto greco e anche solo pensare di comporre un paragrafo di testo come fosse un’antica epigrafe.
Finalmente guariti ci verrà naturale sparigliare in asimmetrie creative a volte anche un po’ pazzarielle!
Sarà allora che ci verrà nostalgia dei bei tempi in cui un asse di simmetria risolveva tutto. Nostalgia delle siepi di bosso ai lati del vialetto, delle poltroncine uguali ai lati del caminetto… Non preoccupatevi, la sindrome da simmetria è come il morbillo, quando la si è avuta non si prende più, tanto che in qualche rarissima occasione potremo permetterci di esclamare…
È simmetrico! È bellissimo!

Scrivere l’Azienda

È importante raccontare la propria attività. Soprattutto oggi, in internet non possiamo farne a meno.

Scrivere è il mio lavoro.

Scrivo per me e per aziende molto diverse tra loro: produttori di gioielleria, aziende agricole, produttori e rivenditori di mobili e oggetti di arredamento, concerie e aziende che lavorano il ferro e la plastica, Enti che offrono servizi…
Non mi pongo limiti settoriali.
Abbiamo tutti bisogno di creatività!
Racconto le aziende e la loro creatività.

Inviare NEWSLETTER come questa è uno dei modi più efficaci per farsi conoscere e per far capire cosa facciamo.
Qualche consiglio per raccontare bene la nostra azienda:

– Semplicità
La regola fondamentale è sempre quella: usare un linguaggio semplice e quanto più personale possibile.

– Senza banalità
Se vendiamo gioielli o vino o qualsiasi altra cosa, sará utile non parlare sempre e solo di quanto sono belli e buoni i nostri prodotti. L’oste dirá sempre che il suo vino è buono.
Diamo qualche consiglio mettendo a disposizione quello che sappiamo e che crediamo utile.
Manteniamo un tono leggero, spiritoso, se ne siamo capaci, evitando la sicumera del “so tutto mi”.

– Con che frequenza?
Non esiste una regola!
Se scriviamo cose interessanti, scritte bene e le inviamo al pubblico giusto, possiamo farci trovare nella posta anche due volte al giorno. Se inviamo scemenze presuntuose e scritte male anche una volta al mese sarà di troppo.

– La lunghezza dei testi.
Come sopra! Fatto salvo uno standard orientativo di 300 parole, se scrivo cose interessanti potró dilungarmi,  altrimenti  una riga sarà già troppo.

– Con personalità
Mettiamoci in gioco, tiriamo fuori la farina dal nostro sacco e mostriamo chi siamo e cosa pensiamo.

Genuinità e verità pagano sempre.

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