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Grafica e farfalle a sorpresa.

grafica-a-sorpresa-farfalle_634Come scriveva David Foster Wallace… Una cosa divertente che non farò mai più sarà quella di infilare una farfalla nella busta di un invito. E’ passato un po’ di tempo da quando nella necessità di promuovere un evento, credo fosse l’inaugurazione di una gioielleria, mi stavo scervellando per rendere originale l’invito. La grafica permette mille giochini interessanti, la cartotecnica ci dà infinite possibilità… ma mi sarebbe piaciuto far provare ai destinatari un’emozione vera, far accadere realmente qualcosa all’apertura della busta. L’unica proposta che circolava era quella dei biglietti sonori ma non mi conviceva più di tanto. Girando e rigirando nella rete mi ero imbattuto in un’azienda francese che produceva farfalle adatte ad essere infilate nelle buste, belle pronte a svolazzarne fuori appena queste fossero state aperte. Fantastico! Pensavo già alle espressioni di sorpresa. Visto, fatto! Compro mille farfalline e ci mettiamo in cinque o sei a caricare l’elastico ad ognuna e ad infilarla in mezzo al biglietto e dentro la busta. Gran successo, bella sorpresa. La fregatura è che non riesco a riproporre la sorpresa, neanche per un pubblico diverso… sarà che un bel gioco dura poco!

www.magicflyer.com

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Fare fotografie del fare fotografie

In “ TENNIS, TV TRIGONOMETRIA, TORNADO e altre cose divertenti che non farò mai più.” David F. Wallace  riporta un brano bellissimo tratto da “RUMORE BIANCO” uno dei capolavori di Don DeLillo.

“Diversi giorni dopo Murray mi chiese se sapevo qualcosa di un’attrazione turistica nota come il fienile più fotografato d’America. Guidammo per ventidue miglia nella campagna intorno a Farmington. C’erano prati e alberi di melo. Recinzioni bianche si srotolavano lungo i campi. Ben presto apparvero le prime insegne. IL FIENILE PIU’ FOTOGRAFATO D’AMERICA. Ne contammo cinque prima di arrivare sul posto… Camminammo per un sentierino fino alla collinetta che serviva ad ottenere una vista migliore. Tutti avevano macchine fotografiche; c’era qualcuno con treppiede, lenti speciali, filtri. Un uomo dentro un baracchino vendeva cartoline e diapositive del fienile, fotografato proprio da lì. Ci mettemmo vicino a un boschetto e guardammo i fotografi. Murray mantenne un silenzio prolungato, ogni tanto scribacchiava qualcosa su un taccuino. Alla fine disse: “Nessuno vede il fienile”. Seguì un lungo silenzio. “Una volta che hai visto le insegne per il fienile, diventa impossibile vedere il fienile”. Si ammutolì di nuovo. Persone con macchine fotografiche scendevano dalla collinetta, subito rimpiazzate da altri. “Non siamo qui per catturare un’immagine. Siamo qui per mantenerne una. Lo capisci, Jack? E’ un’accumulazione di energie senza nome”. Ci fu un altro lungo silenzio. L’uomo nel baracchino vendeva cartoline e diapositive. “Essere qui è una specie di resa spirituale. Vediamo solo ciò che vedono gli altri. Le migliaia che sono state qui nel passato, coloro che verranno in futuro. Abbiamo accettato di essere parte di una percezione collettiva. Questo letteralmente colora la nostra visione. In un certo senso è un’esperienza religiosa, come ogni turismo”. Ne derivò un altro silenzio. “Fanno fotografie del fare fotografie”, disse.”

E’ l’essenza del turismo!

Lo stand, spazio aperto o chiuso?

Le aziende che partecipano come espositrici alle fiere nel mondo devono aver coscienza della propria identità. Prima dei propri prodotti espongono se stesse. La forma, il profumo dello stand mette in mostra il carattere del marchio. Sono tante le domande che rimbalzano tra la dirigenza aziendale e  chi ha il compito di proporre con coerenza l’immagine del marchio progettando un nuovo spazio espositivo.

Tra le tante questioni: APERTO o CHIUSO? Ricorre spesso e ne sottintende tante altre.

Popolarità o esclusività. Immediatezza o mistero. Necessità di mostrare il prodotto o possibilità di evocarlo solamente. Raramente le aziende fanno scelte radicali di totale chiusura o completa apertura verso il pubblico e quando la fanno quest’ultima è sicuramente prevalente. Pochi si possono permettere di non esporre il prodotto, di comunicare solo l’essenza del marchio. Esistono però una serie infinita di gradazioni tra lo stand chiuso/chiuso e lo stand aperto/aperto, ci sono mille modi di progettare uno stand cercando di dare un’immagine forte, essenziale, scultorea del marchio senza rinunciare a dare il giusto risalto al prodotto e a facilitare il contatto tra operatori e clienti. Tra le tante strade percorribili sicuramente una delle più interessanti è quella che impone di dividere nettamente le due questioni. Un luogo del prodotto e uno spazio dell’immagine. Anche nello stand più piccolo sarà sempre possibile identificare queste due aree. Magari questi spazi tenderanno a sovrapporsi ma dovranno mantenere una propria  peculiarità. Infine, facciamo attenzione a non sovraccaricare di segni il nostro allestimento espositivo. Meglio comunicare ed esporre poche cose con efficacia e chiarezza piuttosto che ottenere l’effetto risotto per l’incapacità di scegliere.

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“Open” l’autobiografia di Andre Agassi

Era un pezzo che volevo leggere “Open” l’autobiografia di Andre Agassi. Da quando Alessandro Baricco aveva inserito il libro tra i cinquanta che gli erano piaciuti di più negli ultimi dieci anni. Tra tutti, quello che mi aveva colpito era stato proprio Agassi. Forse perché non mi aspettavo di trovarcelo. Forse per la copertina con la sua faccia e quello sguardo che fulmina. Poi perché amo lo sport, e per il tennis ho sempre avuto un debole anche se ci ho giocato pochissimo. Da maratoneta affascinato dagli sport estremi, dagli ultratrail, dagli ironman ho scoperto nel racconto di Andre Agassi il tennis estremo dei tornei del grande slam. Un racconto affascinante in cui il tennis è metafora di tutto, in cui un padre padrone non lascia spazio al destino. Una scrittura asciutta che descrive il pauroso saliscendi di un uomo nato con la racchetta in mano. Da leggere.

Storie di un fotografo

Chiusa un mese fa la mostra alla Casa dei Tre Oci a Venezia, Le opere di Gianni Berengo Gardin si sono trasferite a palazzo Reale a Milano per la sua più importante rassegna “Storie di un fotografo” a cura di Denis Curti. Anche chi non lo conosce avrà visto mille volte le sue immagini in bianco e nero. I suoi scatti indagano una quotidianità mai banale, raccontano storie vere, la sua osservazione della realtà emoziona senza l’uso di effetti speciali. Da domani 14 giugno fino all’8 settembre.
www.mostraberengogardin.it

La creatività per lavoro

Quando mi chiedono che lavoro faccio rispondo che sono un creativo… ok, mi dicono, ma in pratica cosa fai? C’è stato un periodo in cui rispondevo “sono un architetto…” , era più semplice ma non definiva esattamente la mia attività. Chi si occupa di creatività e innovazione nel mondo della produzione artigianale o industriale, chi lavora all’immagine delle aziende o dei fornitori di servizi o di chiunque abbia la necessità di definire la propria identità, in realtà fa un sacco di lavori. Mi piace quando il rapporto con una nuova azienda nasce intorno al progetto di un nuovo prodotto. Allora di solito c’è il tempo per conoscersi, per sperimentare il rapporto tra progettista e committente, il tempo per scambiarsi conoscenze, opinioni, per discutere. Senza questo scambio non si costruisce niente di buono. E’ impensabile che un designer per quanto preparato, sensibile e attento possa dar vita al progetto giusto senza un coinvolgimento profondo nell’attività produttiva e commerciale dell’azienda. Gli stessi meccanismi si devono mettere in moto per comunicare il prodotto e l’anima dell’azienda. Tra titolare e progettista ci deve essere una grande capacità di ascolto. L’obiettivo è capirsi, capire qual è il percorso che insieme si vuole seguire. Se non ci si intende meglio lasciar perdere!

Già nel progetto di un nuovo prodotto dovranno essere chiari gli elementi che ne permetteranno una comunicazione chiara, coerente con l’immagine aziendale. Mentre si progetta un oggetto non ci si occupa solo di design industriale, in realtà si sta mettendo in moto una vasta direzione artistica che coinvolgerà attività come grafica, fotografia, scrittura tecnica e creativa, packaging, la definizione degli strumenti di formazione della rete vendita, l’ideazione della comunicazione pubblicitaria, la progettazione degli allestimenti fieristici e del punto vendita… una galassia di tecniche e strumenti con cui l’azienda affermerà la propria identità. Mi occupo di tutte queste cose, quando è possibile tutte insieme, dando vita ad un concept forte di cui l’azienda beneficerà per anni , altrimenti intervenendo con progetti parziali all’interno di concept preesistenti condivisi. Spesso dopo aver spiegato tutto questo qualcuno mi chiede ancora: “…ma cosa vuol dire davvero fare il creativo?!”  Do sempre la stessa risposta: “Significa saper scegliere!” …aiutare a scartare quello che non serve, spiegare quando è il caso di rinunciare a soluzioni che a prima vista sembrano perfette e invece… Per me fare il  consulente creativo o l’art director che dir si voglia significa saper tenere a bada la mia creatività perché vada a vantaggio dell’azienda.

Gioielli ricchi e poveri

Mi piacciono i gioielli realizzati con materiali poveri! Legni qualsiasi, chiodi arrugginiti, plastiche colorate,  fili di ferro, carte e cartoni, ritagli di stoffa, scarti di vetro, sassi, piume… palline da ping-pong, come gli anelli della foto e tutto quello che può capitare in mano e far nascere idee brillanti o semplicemente comporre forme interessanti. Chiaro che l’uso di materiali di nessun valore deve far sviluppare la creatività. Non è necessario inventare chissà cosa, a volte basta proprio pochissimo, basta saper vedere al di là della quotidianità. Se invece delle cianfrusaglie mi tocca proprio usare l’oro, anche il metallo prezioso per eccellenza mi piace grezzo, senza tante lucidature e lavorazioni superficiali aggiuntive, se è un po’ macchiato, slabbrato, strisciato…  meglio. E’ bello mescolare materiali poveri e materiali nobili, spesso dal contrasto ne guadagnano entrambi. La creatività, i pensieri, le idee sono i veri gioielli! Capaci di trasformare tutte le cose in amuleti magici!

Grafica e lettering tridimensionale

Se si parla di grafica pensiamo automaticamente allo spazio bidimensionale. Alla composizione di immagini fotografiche, disegni e caratteri tipografici messi insieme in mille modi. E’ meno immediato pensare alla grafica in termini tridimensionali, a meno che il progetto non riguardi insegne stradali, totem, grandi insegne luminose, normalmente il nostro esercizio si limita alla superficie del foglio stampato. Per questo è davvero interessante il percorso circolare che lo studio di grafica spagnolo Lo Siento imprime a molti dei propri progetti. Una ricerca tridimensionale del lettering costruita intorno a microsculture a volte impensabili che attraverso la fotografia ritorna all’immagine bidimensionale. Un esercizio che invoglia all’uso dei materiali più strani e ci indica la strada verso esercizi spericolati.
www.losiento.net/lettering 

La grande bellezza

Cos’è la grande bellezza per Sorrentino? Il titolo del film sembra riferito allo splendore della città eterna a cui sono dedicate le sequenze iniziali dal Gianicolo e a cui fa da sfondo in tutto il film con interni maestosi e solitarie visioni notturne. Oppure la grande bellezza è la vita stessa, disseminata di occasioni perse. Jep Gambardella, lo scrittore/giornalista protagonista del film vive consapevolmente lo sciupìo di una vita fagocitata dalla mondanità più fatua. La sua tagliente capacità di giudicare è ammorbidita dallo sguardo benevolo sulle fragilità umane: «Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po’ in giro». La narrazione cresce lentamente con sempre maggiore intensità fino a spampanarsi nell’ultima mezz’ora con la comparsa della santa, personaggio di cui avrei volentieri fatto a meno. Al di là di ogni personale supposizione Il significato del film sta tutto nella citazione iniziale (l’esergo, come scrive la raffinata Natalia Aspesi)  tratto da Viaggio al termine della notte di Céline: «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato… ».  Non c’è posto per lezioni di morale.

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